Il soldato Mario Lozano Jr. siricorderàin eterno quel momento a Baghdad che ha cambiato la sua vita per sempre: quando, con gli occhi «grandi come mele» secondo l'espressione che ha usato lui stesso nell'intervista esclusiva rilasciata al New York Post, vide un veicolo che si catapultava dritto verso di lui e aprì il fuoco. Era il 4 marzo 2005 ed ora l'Italia sta per giudicare il giovane militare per omicidio, un crimine da cui è già stato discolpato da chi conta davvero per lui, l'esercito americano. Lozano, il soldato del posto di blocco in Iraq che sparò contro la macchina dell'agente Nicola Calipariedella giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, però non si nasconde. Sa che non sarà mai consegnato ali'Italia, anche se il tribunale lo condannerà per omicidio, perchè la commissione militare americana ha stabilito che quella notte lui ha rispettato le regole d'ingaggio. La commissione militare italiana, al tempo sotto il governo di Berlusconi, non aveva sposato le conclusioni del Pentagono; più recentemente, alla commemorazio -ne della morte del funzionario nel secondo anniver -sario, il ministro degli esteri D'Alema ha apertamente sfidato gli Stati Uniti dicendo che «adesso c'è necessità che la giustizia sia fatta».
LA DIFESA DEL SOLDATO
Che il governo Prodi, la cui credibilità è azzerata dopo la vicenda degli ostaggi afghani uccisi, possa davvero pensare di ottenere una qualche ammissione di colpa da Washington è fuori dalla realtà. Ma se per la giustizia Usa il caso è chiuso, il dramma personale del giovane è in pieno corso, e luiha deciso di fare la sua arringa affidandola al giornalista Neil Graves, che l'ha incontrato a casa di un familiare, a Manhattan.
«Tu hai una linea di avvertimento, poi hai una linea di pericolo, e poi hai la kill-line (la linea di sparo)», ha raccontato Lozano. «Chiunque sia dentro i 100 metri è già in zona pericolo... e tu devi tenerli fuori da lì. Se tu esiti, torni a casa in una bara, e io non volevo venire a casa in una bara. Ho fatto quello che qualunque altro soldato avrebbe fatto in quelle condizioni». Gli effetti dell'incidente sono ormai storia: " la Sgrena ferita alla spalla, Calipari colpito a morte da un proiettile nell'atto di proteggerla. «Calipari fu lodato come un eroe nazionale», ricorda il Post, «migliaia andarono al suo funerale. E il governo italiano decise di fare il passo non usuale di incriminare Lozano per "omicidio politico"». Lozano non ci sta: ed è puntuale nel difendere la sua ricostruzione. Ha puntato il faro da «300 milioni di watt» dalla sua torretta verso la macchina in arrivo, ciò che normalmente fa sì «che ogni iracheno si butta sui freni». Ma stavolta l'auto ha proseguito la sua corsa. Così lui ha sparato prima delle scariche sul terreno e, infine, ha mirato al motore del veicolo.
Non aveva scelta, sapeva troppo bene ciò che poteva fare una autobomba. Due giorni prima «due bravi soldati erano morti sulla strada alla stessa maniera», ha ricordato.
Giovedì, per Lozano, sarà un'altra tappa del suo travaglio. Voleva diventare un poliziotto come il suo fratello più giovane, Emiliano, ma il sogno è svanito. Era sposato ma il matrimonio è finito male per lo stress dopo l'incidente. E adesso è sotto trattamento medico per curarsi dal disordine post traumatico. Lavora come muratore con ilpapà, Mario Lozano sr, quando non è in servizio nella Guardia Nazionale.
LE ACCUSE ALLA GIORNALISTA
Padre e figlio, scrive il Post, accusano la corrispon -dente del Manifesto perla vita daincubo che Lozano sta conducendo: nonha fatto sapere all'esercito con i canali diplomatici che lei era su quella macchina, e per di più adesso sta sfruttando economicamente la situazione. Sgrena è stata di recente a New York per promuovere il suo libro «Fuoco amico: la rimarchevole storia di una giornalista sequestrata in Irak, salvata da un agente dei servizi segreti italiani e colpita dalle forze armate Usa». Raccontando uno dei suoi incontri con il pubblico americano, il Weekly Standard ha per la verità notato che il grosso era composto di studenti europei ed ex-sessantottini locali, insomma l'antiamericanismo radicale in azione. Tant'è. Agli occhi del proletario Lozano, la cui famiglia è
emigrata dal Sud America, la comunista Sgrena è di un'altra classe. «Sono sicuro che la sua vita non è come la mia», ha detto amaramente al Post. «Lei sta facendo i soldi. Lei è famosa. Intanto, io devo convivere con il fatto che un tizio è stato ucciso perchè non ha rispettato gli ordini ed io sono stato il tìzio cha ha premuto il grilletto». Interrogata dal giornale, Sgrena ha ribattuto così: «Non sto facendo soldi: sto solo raccontando la storia di che cosa mi è capitato. Se vogliono esprimere ciò che provano, la sola via è il processo. Non voglio che Mario Lozano sia il capro espiatorio, ma dovrebbe venire a spiegare la sua situazione». Appartenendo allo stesso partito di chi sta con i rapitori, con le due Simone e Daniele Mastrogiacomo, la Sgrena ha concesso al Post questa interpretazione utile solo a tenere in piedi la tesi secondo cui gli Usa sono contrari al fatto che ci siano nazioni che negoziano con i terroristi: «Io non posso dire (se proprio io ero nel mirino). Non lo so. Al processo, solleveremo questo interrogativo. Ma non fu un incidente. Io non so se volevano uccidere o meno, o se volevano dare un avvertimento».