Dice di avere «cento giorni per non deludere le aspettative e cinque anni per cambiare il paese». Altrimenti, stavolta, «mi vengono a prendere». Silvio Berlusconi mette da parte 24mila voti di scarto e due anni e scampoli di una traversata nel deserto più breve della prima e si trova davanti un paradosso e un'occasione: nell'era dell'antipolitica governa una squadra - e un Parlamento -con una forza politica forse mai raggiunta nella Seconda repubblica, sempre che non sia nel frattempo finita.
L'occasione sarebbe quella di «dimostrare che i deputati non sono una casta di cittadini privilegiati», e di farlo «solo con la forza incontrovertibile dei fatti», come ha detto Gianfranco Fini accomodandosi sulla poltrona della terza carica dello stato. Di lavoro ce n'è, un popolo di ostruzionisti pronti a contrastarlo pure, anche perché a un anno esatto di distanza dal libro-antonomasia di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella l'impressione è che il governo uscito non abbia contribuito particolarmente a dissipare le ombre sulla classe politica. Tanto che molte delle denunce levate dal riassunto assai poco pietoso dei due giornalisti restano lì, a monito per le attività della nuova squadra della quale il fantasista Roberto Calderoli ha sintetizzato così la missione dopo la cerimonia in cui anche lui ha giurato fedeltà alla Repubblica: «Adesso dobbiamo tagliare, tagliare, tagliare. Altrimenti stavolta tagliano noi».
Parlava magari nello specifico del suo compito di epuratore di cavilli, ma in fondo la logica può tranquillamente sottendere l'intera azione dell'esecutivo nei prossimi tempi.
MENO PROVINCE PER TUTTI
«Se Berlusconi vuole abolire le province perché candida Antoniozzi»?, ghignava Teodoro Buontempo in una fase poco pacifica dei rapporti tra Destra e PdL, riferendosi allo sfidante del piddino Nicola Zingaretti alla provincia -appunto - di Roma. E in effetti Berlusconi ha pure detto che le «province inutili» sono da eliminare (programma del PdL, punto 7, ancora consultabile su http://www.vo-taberlusconi.it). Resta da capire quali siano utili e quali no: gli spazi di competenza lasciati liberi dai poteri di Regioni e Comuni non depongono molto a favore dei colleghi di Nicola Zingaretti. Ma resta il fatto che, secondo gli ex diessini Salvi e Villone, autori un paio d'anni fa del volume "I costi della democrazia", presidenti e vicepresidenti di questi enti costano - da soli - più di 11 milioni di euro l'anno. Un esercito di 56.600 dipendenti pubblici (spiegano Riz-zo&Stella, dati 2005) la cui immediata quanto improponibile eliminazione consentirebbe un risparmio pari a 10,6 miliardi di euro, stando al recente "Rapporto Italia 2008" dell'Eurispes.
SOLDI FACILI
La sorprendente semplificazione dei gruppi parlamentari nei due rami della Camera dà - in linea teorica - la possibilità di riformare la delicatissima pratica del finanziamento ai partiti, che la coppia del Corsera ha calcolato
nel trentennio 1976-2006 in qualcosa come 3.583.692.855, considerando solo l'erogazione di fondi pubblici (tre miliardi, cinquecen-toottantatre milioni, seicentono-vantamila e rotti). Laddove il punto non pare tanto negare la possibilità di ricevere soldi - quanto
stabilire in base a quale oscura interpretazione (finita sotto la lente della Corte dei Conti dopo le Europee del '99) ogni tornata elettorale si trasforma in un'occasione unica, ma non molto trasparente. Senza andare all'ormar celebre referendum "tradito", l'articolo 1della legge 157/99 spiega che «in caso di scioglimento anticipato del Senato o della Camera, il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi (elettorali) è comunque effettuato». Sovrapposizione di fondi, dunque, anche per i partiti i cui parlamentari sono mandati a casa da elezioni anticipate, come le ultime. E - come ha documentato Francesco Ruggeri su queste pagine - i rimborsi sono lievitati a circa 5 euro a testa per ciascuno dei 47 milioni di potenziali votanti, astensionisti, bianche e nulle incluse. Una crescitaun po' superiore a quella dell'inflazione. Ancora Salvi e Villone: «Nel 2005 sono stati pagati ai partiti 196 milioni di euro divisi tra 81 liste» (a questo proposito, ci sarebbe una leggina semplice, solo da approvare, per impedire la formazione di nuovi gruppi parlamentari dopo il voto). Nel 2006 si passano i 200 milioni, nel 2007 ancora un po' di più. Dal 2001, in sei anni la cifra raddoppia. I soldi ai partiti, ovviamente, arrivano anche dai privati, con la peculiarità che conviene pure, in termini fiscali, rispetto - per esempio - a donazioni effettuate a beneficio di onlus.
GLI ENTI INUTILI
Altro terreno di potenziale bonifica, più sul piano del posizionamento che sull'effettivo risparmio per le casse pubbliche, è quello dei cosiddetti enti inutili: riuscita l'impresa di abbattere dopo decenni di onorato servizio l'istituto legato all'aviazione fascista, ne sopravvivono decine e decine, per non parlare della sorte fantastica toccata agli enti nati per liquidare i "colleghi" a tutti i livelli delle amministrazioni. Capitolo a parte meritano le comunità montane, fatte esplodere da Rizzo e Stella che hanno beccato una di queste posizionata al livello del mare. Qui, va dato atto a Prodi&C di avere messo qualche paletto per evitare abusi al confine del grottesco, ma la pratica volendo resta aperta.
CONSULENZE E AULE
Prendersela con i consulenti delle pubbliche amministrazioni in quanto tali, o con le loro paghe, è operazione a rischio altissimo di demagogia pura. Di gente brava ed esperta, capace di risolvere problemi c'è fame e bisogno. Il punto semmai sarebbe la verifica di una corrispondenza tra compensi e servizi offerti. E gli esempi per farsi venire qualche dubbio sono tantini: al neoministro Renato Brunetta avranno già spiegato che i consulenti della Funzione pubblica' nel 2004 erano quasi 150mila, e in aumento costante. Gli enti locali meriterebbero un li-briccino a parte (basti citare la consulenza suU'«itinerario gastronomico del pesce azzurro»), come Libero ha più volte documentato, ma qui il governo può fare poco, salvo affamare la bestia chiudendo i rubinetti tramite la possibile rivoluzione del federalismo fiscale. Anche perché i tetti massimi introdotti agli stipendi non mettono al riparo da un stuolo di consulenti con emolumenti non sconvolgenti ma che ingrossano le fila delle persone messe a libro paga.
A proposito di riduzioni, resta sempre quel progetto di sfoltire il numero dei parlamentari, peraltro più volte ripreso in campagna elettorale: il centrodestra ci ha provato nel 2005, ma il referendum ha bocciato l'intera riforma costituzionale. Salvo poi ritrovarsene ampie fette nel programma del Pd. Viste le aule uscite dal 13 e 14 aprile, e vista la squadra che ha giurato ieri sera davanti a Napolitano, quantomeno ci si può riprovare.