di Aragorn il 02 lug 2010, 11:56
Nel dibattito politico-culturale di questi anni spesso si è richiamato come cardine inviolabile dei diritti di libertà quello di informazione, tutelato dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Un principio irrinunciabile, che infatti i padri costituenti collocarono nella prima parte della costituzione, nel nocciolo duro delle norme che, qualora cambiate, metterebbero in discussione l’intero impianto della Carta. Ed è infatti un dato acquisito di ongi democrazia compiuta la necessità di difendere ad ogni costo la libertà di informazione, contro ogni censura, contro ogni tentativo di invasione da parte del potere, sia esso politico o, come spesso accade, economico.
Ma esiste un altro articolo della nostra carta costituzionale, che scolpisce in maniera netta una forma di garanzia tra le più alte previste nella costituzione. E’ l’articolo 15, che disciplina la tutela e la segretezza della corrispondenza. Un principio che spesso viene invocato a tutela delle varie forme di comunicazioni via internet, ad esempio contro la registrazione della tracciabilità della navigazione in rete, ma che spesso invece viene dimenticato quando si parla di intercettazioni telefoniche o ambientali.
L’articolo 15 della Costituzione è molto chiaro: “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. E la loro limitazione può avvenire solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le garanzie previste dalla legge”. Pensato nel 1947, a guerra finita, scottati dall’esperienza del fascismo con il controllo pervasivo della corrispondenza da parte dell’Ovra, la polizia politica del regime, da’ la maggiore tutela possibile a questo principio di libertà. Un principio, quella della libertà individuale di comunicare vitale per la democrazia. Così vitale che anche da un punto di vista cardinale viene enumerato ben prima dell’articolo 21 sulla libertà di informazione.
Una tutela è determinata anche dal punto di vista delle riserve di legge, contenute nel secondo comma dell’articolo. L’autorità amministrativa non può violare la corrispondenza. Può farlo solo l’autorità giudiziaria, motivandone le necessità e con una cornice di garanzie ben definite dalla legge (ad esempio, nel nostro codice penale, è possibile violare la corrispondenza solo per un lasso di tempo determinato e solo relativamente a certi reati).
Ovviamente, e a maggior ragione, la tutela della corrispondenza si estende anche alla sua divulgazione verso terzi. E qui il fenomeno investe direttamente quei mezzi di comunicazione che ritengono di averre il diritto/dovere di divulgare i contenuti di intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria secondo le garanzie prescritte dalla costituzione, in nome di un altro principio costituzionale, quello della libertà di informare.
Due principi costituzionali in conflitto? No, perché a prevalere dovrebbe essere il principio della segretezza delle comunicazioni. Se infatti è giusto che in determinati casi le comunicazioni vengano sottoposte a controllo per accertare reati, è aberrante metterle a conoscenza di una massa indeterminata di persone mediante la loro diffusione in tv, sui giornali o in Rete. La costituzione prevede la limitazione della corrispondenza solo a favore degli organi giudiziari e a vantaggio di situazioni giuridiche messe in pericolo (ad esempio, minacce telefoniche, o l’organizzazione di un omicidio), ma non per soddisfare il principio assoluto di comunicare qualsiasi cosa. Una prescrizione che ogni buon giornalista, in rispetto di quei principi sì di verità, ma anche di pertinenza e continenza, dovrebbe tenere a mente prima di scrivere un articolo.
«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»