



«Forse Dio è malato», scriveva qualche anno fa, intitolandoci un diario di un viaggio africano, Walter Veltroni. Ora sappiamo che, ammesso che anche il Signore laggiù non se la passi bene, la colpa è anche del sindaco di Roma. Responsabile, almeno morale, della catastrofe ambientale chi ha colpito il Senegal.
Da quattro anni, infatti, nella capitale Dakar la raccolta dei rifiuti è affidata, con la benedizione del Campidoglio, all'Ama-Senegal, filiazione della Spa capitolina. E tutto fila liscio fino alla scorsa estate, quando piogge e inondazioni si abbattono sulla città.
Il colera, endemico nel Paese, ha una forte recrudescenza: solo dal 5 al 18 settembre si contano 2.141 casi e 46 decessi. Alla fine i contagiati saranno circa 4mila, i morti 117. Il ministro della Sanità senegalese e l'avvocato dello Stato denunciano lo stato in cui versano le strade, ricolme di rifiuti e ottimo terreno di coltura per il vibrione, chiamando in causa l'Ama-Senegal: ha ritirato i cassonetti prima dell'estate e impiegato meno del 20 per cento dei mezzi necessari alla raccolta. Per di più da agosto non ha pagato le imprese sub-fornitrici, tra cui la torinese Gigos che doveva costruire una nuova discarica, accumulando milioni di euro di debiti in un Paese in cui il reddito prò capite è di 500 dollari l'anno. Poi il governo la mette in mora e detta un ultimatum, mentre la notizia finisce su giornali e televisioni. Infine il premier rescinde il contratto.
Il presidente di Ama-Senegal, Alvaro Moretti, contesta le accuse, invoca cause di forza maggiore, arriva fino a lamentare il mancato preavviso e i danni all'immagine dell'azienda. Ma, a contenzioso più che mai aperto, in Senegal, dalla stampa al direttore dell'istituto epidemiologico di Dakar, non hanno dubbi: l'epidemia è colpa, anche e soprattutto, degli italiani. E a sfogliare il dossier presentato da An e dal vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio Andrea Augello è difficile dar loro torto. Vi appaiono documenti, interviste e testimonianze, raccolte in loco da una delegazione dell'Ugl, imbarazzanti per la "politica estera" della Città Eterna.
Dakar sembra ridotta a un immondezzaio a cielo aperto, con montagne di rifiuti davanti ai mercati alimentari, nel parcheggio dello stadio e nei pressi del cimitero; gli oltre 1.750 dipendenti dell'Ama in Africa, privi di un capo del personale e retribuiti in ritardo, lavorano ner circa 100 euro al mese in ondizioni igieniche spaventose, raccogliendo la spazzatura manualmente, senza guanti né mascherina, o con un rastrello da passarsi in cinque; i mezzi utilizzati sono pochi (appena 20 compattatori per una città con quasi 2 milioni di abitanti, 15-20 automezzi invece dei 100 previsti), vecchi (tutti con un'anzianità superiore ai 10 anni) e inadeguati (mancando anche un servizio di officina); mancano persino i camion con la forca per svuotare i cassonetti. In compenso, i dirigenti dell'azienda se ne vanno in giro su Bmw e pick-up.
L'Ama replica che è tutta colpa dell'inefficiente sistema fognario e degli acquazzoni che hanno reso impraticabili le strade e l'accesso alla discarica di Mbeubeusse, e che comunque nessun loro dipendente ha contratto il colera. Mentre il buonista Veltroni, impassibile, nonostante il mal d'Africa da cui è affetto e il male che l'Africa sta soffrendo, tace: «No comment». Figuriamoci poi se ha voglia di parlare dei soci colombiani di Ama Spa finiti in carcere per corruzione e della richiesta di danni per 5 milioni di dollari avanz ata da questi per essere stati bidonati dai romani. O delle spese legali per l'arbitrato ancora in corso. Meglio chiedergli se quando Woody Allen disse «Dio è morto, Marx è morto... e anch'io oggi non mi sento molto bene» avesse avuto a che fare con lui o con l'Ama-Senegal. Altrimenti detta, dagli intimi, l'Ammazza-Senegal.»