Nassiriya un anno senza morti ne' feriti, gli usa ci copiano

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Nassiriya un anno senza morti ne' feriti, gli usa ci copiano

Messaggiodi Aragorn il 03 gen 2006, 17:15

«Neanche una vittima per terrorismo o in seguito ad atti di guerra, durante l'ultimo anno, né tra gli italiani né tra gli iracheni, a Nassiriya e nella provincia del Dhi Qar. E sempre nello stesso periodo, zero attacchi kamikaze, con autobomba o da Ieds (ordigni stradali improvvisati). E zero sequestri politici». Sta tutto in questi dati il trionfale anno "bianco" conseguito dai militari del nostro contingente in Iraq, nel silenzio assordante della grande stampa. A fornirceli è il colonnello Paolo Maria Ortolani, comandante della Multinational special unit (Msu) dei carabinieri di stanza a Nassiriya, cui è affidata la gestione della centrale operativa mista delle forze dell'ordine dell'intera regione, o Pjoc (Police joint operation center). Una conferma incrociata ci viene anche da un'intervista al direttore dell'unico quotidiano indipendente della città, "Al Nassiriya", Abdul Odah. Se i numeri non sono opinioni, la conclusione è chiara: le forze italiane, rispetto ad altre zone d'Iraq - ma anche ad analoghi teatri di crisi - hanno compiuto una specie di miracolo. Qui la guerra è finita da un pezzo. I carri armati Ariete, inviati in tutta fretta sull'onda della polemica, languono inattivi accanto ai Dardo, e gli elicotteri da combattimento Mangusta volteggiano solo sulla base. Mission accom-plished, missione compiuta, sul fronte sicurezza. A dispetto della martellante campagna di stampa che dipinge in termini catastrofici l'operato dei nostri soldati. Negando gli esiti dell'operazione forse più efficace nella storia delle missioni all'estero. Un modello ormai preso ad esempio anche dagli anglo americani. Dietro al quale si celano una serie di piccoli e grandi segreti strategici che Odah riassume in un solo concetto: al marjaia, rispetto. A cominciare dal duro lavoro del personale coinvolto, realizzato in condizioni spartane che nulla hanno a che vedere con una macchietta da goliardi guerrafondai.
L'impatto con la routine dei soldati italiani inviati in Iraq ha il suono ruvido e lancinante dei motori di un quadrielica C130. Quasi un presagio di ciò che li aspetta. E noi con loro. Perché per raccontare dal di dentro la missione Antica Babilonia stavolta abbiamo scelto di seguirla da giornalisti era-bedded, arruolati. In caso di prigionia, verremo equiparati al grado di maggiore. Lo prevede la nuova normativa sui Gombat media center dell'esercito. Più un onere che un onore, vista la situazione che sembra attenderci nel sud Iraq. Almeno a fidarsi della stampa italiana. Citiamo dal Corriere del giorno prima delle ultime elezioni: «Nassiriya è una cittadina terrorizzata. Restiamo barricati in casa più tempo possibile. Ci sono talmente tanti uomini armati in circolazione che è l'unico modo di evitarli. La polizia e l'esercito non possono difenderci. Persino gli italiani coi carri armati e gli elicotteri sono in difficoltà». Firmato Adii Mohamed, ma sciolto in un pezzo da Erbil (il nord curdo). E che dire dell'Espresso, che in un articolo da Bagdad paragona le città irachene alla Saigon della fuga dal Vietnam. O della solita Rainews, che senza muoversi da Roma, con la messa in onda (a 2 anni dagli eventi) del célèbre video di Nassiriya fa da sponda a chi proclama che il contesto della missione è quello ostile e cruento della guerra. Peccato che nessuno di questi signori si sia degnato di farci un giro a Nassiriya. Avrebbero scoperto un altro mondo.

STRADE SICURE

Quando abbiamo iniziato a battere città e circondario, protetti da un giubbotto anti proiettile da 15 kg, e da un elmetto al kevlar da 5, sospettavamo che la situazione fosse migliore del previsto, ma pur sempre caratterizzata da episodi sporadici di violenza anti italiana o in-ter etnica. Ebbene, tempo un paio d'ore ci eravamo già mezzo sfilati di nascosto il pesante giubbotto, imboscando l'elmo sul duttile Vm protector detto "scarrafo-ne". L'atmosfera non poteva essere più rilassata e benevola. Sorrisi e saluti da parte di bambini e adulti ci accompagnavano ovunque: roba da tempi della liberazione di Bagdad. Persino nell'avamposto sunnita nel Dhi Qar, Shuk as Shuiuk, con l'eccezione del tiro di un unico sasso al Vm, meno frequente in Iraq che sulle strade italiane. Dove erano le frotte di miliziani armati? E di notte poi. Non uno scoppio, o una singola scarica, sottofondo immancabile del notturno iracheno. Ad illustrare tale stato di grazia, le statistiche ufficiali del Pjoc. Che in 12 mesi registrano solo i seguenti episodi: «sequestro di una granata raccolta in discarica da un quattordicenne con l'intenzione di adoperarla contro un coetaneo», e «incendio dell'ufficio elettorale del partito di Allawi, senza intenti omicidi», peraltro innescato da un'intervista tv antisciita, slegata dalle elezioni . Per il resto delinquenza comune tra rapine, bande di trafficanti del deserto e mafia locale abituata alle mazzette di Saddam.

NEL 2004 5 VITTIME

Comunque anche nell'anno più caldo, il 2004, le vittime non furono più di 4 o 5, con alcuni episodi dubbi, quale l'assassinio per motivi incerti dell'interprete di Camp Mittica, Hussein. In realtà nel 2005, dall'uccisione di Simone Cola, 4 morti italiani purtroppo ci sono stati, gli sfortunati elicotteristi schiantatisi durante un viaggio in Kuwait. Ma un incidente meccanico, causa sabbia del deserto o scarsa visibilità, non è certo esclusiva di Nassiriya o della guerra. Nel 2005 gli americani hanno contato invece 840 morti in azione in Iraq (fino a 90 attacchi al dì) e 100 in Afganistan. E perfino il nostro contingente aHeratha subito in questi giorni un attentato kamikaze, andato a vuoto per poco. Il miracolo del Dhi Qar non è però frutto del caso. Né si tratta di un territorio pacifico a priori sotto il profilo etnico o religioso, come dimostra l'escalation di violenze contro gli inglesi a Bassora, pur omogenea alla zona di Nassiriya. Le chiavi del successo italiano si possono riassumere in quattro punti. I-Prevenzione. Gli italiani, lungi dallo stare rintanati attraversano continuamente la città e la regione, ma con alcune eccezioni simboliche: si evita di passare dal viale dei partiti e da quello commerciale dei negozio davantiaunamanife-stazione di protesta, come la più recente contro il rincaro della benzina. La loro presenza verrebbe interpretata a prescindere al pari di uno sgarbo. Inoltre Gamp Mittica è a 8 km fuori dalla città, e nelle località di provincia i nostri non arrivano mai inaspettati, facendosi precedere giorni prima da un'auto con l'altoparlante che preannuncia la visita, come gli antichi arrotini. 2-Addestramento all'autonomia. A Nassiriya tutti i posti di blocco fìssi sono in mano alla nuova polizìa irachena, che copre la provìncia con 26 stazioni e oltre 10.000 uomini. Tutti addestrati dalle forze italiane in classi da 200 nell'apposita accademia alle porte della città. Altri 1699 soldati dell'esercito iracheno hanno preso poi servizio nel 2005. Nel Pjoc rimangono solo ufficiali di collegamento dei carabinieri a fare un controllo di qualità. Le nostre truppe costituiscono l'ultimo anello della catena, intervenendo solo quando Iraqi police, Iraqi Army e forze speciali irachene fanno cilecca. 3-Alta competenza. Investigazione, addestramento e controllo del territorio sono affidati ai Carabinieri della Msu. Che grazie all'altissima specializzazione dei vari reparti (anti rivolta, detective, addestratori, paracadutisti) e all'esperienza maturata in Italia, tengono in piedi la rete che impedisce agli insorti di infiltrarsi da nord o dall'Iran. 4-Ispirazio-ne umanitaria e collaborativa. L'esercito ha firmato un Memorandum of under-standing con il Consiglio provinciale per lo sviluppo della ricostruzione, l'organo civile che coordina aiuti e interventi. A differenza che in passato ora sono gli iracheni a segnalare le loro esigenze, e a decidere quali siano le priorità, in piena autonomia. E una volta individuato, il progetto viene dato in appalto a ditte esclusivamente locali che utilizzano manodopera del posto. Lo stile umanitario e dialogante è stato fin dall'inizio il marchio di fabbrica di Antica Babilonia rispetto agli alleati.

GLI USA CI COPIANO

Basti pensare che gli americani hanno avviato l'esperimento di un Reconstruc-tion team in 3 province pilota non prima del 22 novembre scorso, aMosul.Niniveh e Babil. E appena due giorni dopo hanno avviato i primi negoziati ufficiali coi sunniti, definiti dal portavoce del comando Usa Khalilzad "nazionalisti" invece che "nemici della patria". Sembrerebbe dunque che gli italiani, più che subalterni agli Usa, siano piuttosto un faro. E ì suoi risultati il nostro continente li ottiene con una presenza inferiore alle 3000 unità su un territorio grande come la Campania e con gli abitanti della Liguria. In proporzione, i soldati angloamericani non dovrebbero essere più di 50.000. Per giunta il rapporto fra operativi e addetti alla logistica è almeno di 3 a uno, ossia su 3000 italiani solo 1000 escono sul campo a rotazione. Questo non significa comunque che la vita dei soldati di Camp Mittica sia rose e fiori. Tutt'altro.
A parte le soddisfazioni morali, dal momento della partenza non c'è granché di salvabile. L'imbarco si consuma in una stanzetta non riscaldata dell'aeroporto militare di Pisa, piena zeppa di ragazzini spauriti, con ciclopici zaini e ingombranti mitra ad altezza d'uomo. Quasi tutti meridionali, alla prima esperienza in Iraq. Il check in è a mezzanotte, la partenza per le 003. C'è chi è in viaggio già da un giorno, e fuori il freddo tocca i meno 5. Chissà perché si parte di notte, e si viaggia per 6-8 ore coi tappi nelle orecchie su aerei cargo stile carro bestiame dove il motore non è schermato, il riscaldamento e l'illuminazione approssimativi, e i sedili a retina e il bagno senza porta un mero sforzo di fantasi. Eppure oltre ai bagagli non trasportiamo altri rifornimenti. La simpatica discesa anti-mis-sile a zig zag sulla pista di Tallii completa l'opera. Insieme al briefing d'accoglienza a Camp Mittica: occorre guardarsi da ragno cammello, lecmaniòsi, malaria, vesciche ai piedi, mosche della sabbia, evitare souvenir locali (possibili bombe), e come recitano appositi manifestini, imparare a "tacere" perché il nemico ti ascolta. Si è in servizio h 24, senza domeniche, turni di riposo, Natale o Capodanno. Alloggiati in baracche di fortuna (magari col tetto bucato) con una sola coperta nella gelida notte del deserto. I bagni sono alla turca e non riscaldati, l'acqua non è potabile. Solo gli alti gradi godono di alloggi vip in una zona riservata, dotati di qualche comfort. Se vuoi una tv o la parabola devi portartela a tue spese. Nemmeno la chiamata a casa (al buio) o le e-mail sono gratuite. E da Giano, il bar della base, si paga pure per un semplice caffè. Le strade che attraversano Gamp Mit-tica, grande come una città, non sono illuminate né asfaltate, e bastano due gocce di pioggia per ritrovarsi nel fango fino al ginocchio. Respirando a pieni polmoni i super inquinanti scarichi gratuite. E da Ciano, il bar della base, si paga pure per un semplice caffè. Le strade che attraversano CampMit-tica, grande come una città, non sono illuminate né asfaltate, e bastano due gocce di pioggia per ritrovarsi nel fango fino al ginocchio. Respirando a pieni polmoni i super inquinanti scarichi del generatore a gasolio che giorno e notte appestano il compound. Tutto ciò per 3900 euro al mese per 4 mesi, 5 euro l'ora senza straor-dinari. Per lo stesso monte ore in Italia prenderebbero il doppio. E l'assicurazione sulla vita, dal costo di 8 euro , rifonde a detta dei più solo cifre modeste.

I CARRI ARIETE

A Nassiriya i soldati non diventano ricchi. In compenso, quando tornano in patria vengono spesso accolti con imbarazzo, manco fossero dei killer mercenari. Il rischio peggiore è che i novìzi, proprio per contrastare lo stereotipo, tendano inconsciamente ad allentare le misure di sicurezza che un teatro mediorientale impone. Gomplice il clima da isola felice instauratosi a Nassiriya. In chiusura ci permettiamo quindi di reiterare un consiglio gratuito, unico appunto già mosso a voce a chi di dovere. Certi che verrà valutato senza malizia. Un carro Ariete all'ingresso di Camp Mittica, tra un cavallo di Frisia e l'altro, non guasterebbe in alcun modo il rapporto con la popolazione. E scaccerebbe anche l'ombra teorica di una seconda Animai House (la base Maestrale), ad opera di eventuali malintenzionati provenienti da altre zone d'Iraq. Dicevano i romani, si vis pacem parabellum, se vuoi conservare la pace preparati alla guerra.

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«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,

le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»

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Messaggiodi Mepis il 12 gen 2006, 04:12

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