ammazzarono borsellino da oggi niente + carcere duro

PALERMO - Il tribunale di sorveglianza accoglie i ricorsi, e così cinque boss condannati per le stragi di via D'Amelio e via dei Georgofili si sottraggono al regime del carcere duro. Una decisione che ha acceso le polemiche. Salvatore Biondo, Giuseppe Montalto e Lorenzo Tinnirello erano stati condannati all'ergastolo per l'attentato che costò la vita a Paolo Borsellino e ai cinque agenti di scorta. Salvatore Benigno e Cosimo Lo Nigro scontavano il 41 bis per le autobombe di Firenze del '93. Il ministero della Giustizia cerca di prendere le misure e si rivolge alle Direzioni distrettuali antimafia per cercare nuovi elementi che possano riportare i boss al carcere duro.
Il Dap, spiegano in via Arenula, da tempo chiede di trovare gli strumenti ''per gestire con il giusto rigore la pericolosità sociale di soggetti che si sono macchiati di efferati delitti". Intanto, da Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso in via D'Amenio e deputato regionale dell'Unione, parla della necessità di modificare la legislazione sul 41 bis, "per evitare - dice - situazioni simili e scappatoie normative che finora hanno prodotto centinaia di ricorsi davanti ai tribunali di sorveglianza. Il carcere duro - aggiunge - non è una vendetta ma una misura precauzionale". Per l'associazione dei familiari delle vittime di via Georgofili, "l'affronto che si sta subendo è di una gravità inaudita.
Abolire il 41 bis vuol dire che lo stato ha subito il ricatto messo in atto la notte del 27 maggio del '93''. Se il senatore di Forza Italia, Carlo Vizzini, sottolinea che "nella scorsa legislatura il 41 bis è stato stabilizzato, visto che era un provvedimento temporaneo, il deputato di Rifondazione, Francesco Caruso, denuncia "le condizioni indegne per un paese civile a cui sono sottoposti i detenuti con il regime del carcere duro. Non a caso il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha già condannato l'Italia per la durezza del regime". Intanto, la commissione Antimafia, spiega il suo presidente, Francesco Forgione, ha avviato un monitoraggio sull'applicazione e il funzionamento del 41 bis.
Il Dap, spiegano in via Arenula, da tempo chiede di trovare gli strumenti ''per gestire con il giusto rigore la pericolosità sociale di soggetti che si sono macchiati di efferati delitti". Intanto, da Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso in via D'Amenio e deputato regionale dell'Unione, parla della necessità di modificare la legislazione sul 41 bis, "per evitare - dice - situazioni simili e scappatoie normative che finora hanno prodotto centinaia di ricorsi davanti ai tribunali di sorveglianza. Il carcere duro - aggiunge - non è una vendetta ma una misura precauzionale". Per l'associazione dei familiari delle vittime di via Georgofili, "l'affronto che si sta subendo è di una gravità inaudita.
Abolire il 41 bis vuol dire che lo stato ha subito il ricatto messo in atto la notte del 27 maggio del '93''. Se il senatore di Forza Italia, Carlo Vizzini, sottolinea che "nella scorsa legislatura il 41 bis è stato stabilizzato, visto che era un provvedimento temporaneo, il deputato di Rifondazione, Francesco Caruso, denuncia "le condizioni indegne per un paese civile a cui sono sottoposti i detenuti con il regime del carcere duro. Non a caso il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha già condannato l'Italia per la durezza del regime". Intanto, la commissione Antimafia, spiega il suo presidente, Francesco Forgione, ha avviato un monitoraggio sull'applicazione e il funzionamento del 41 bis.