Si autoproclama re del protogallo: arrestato

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Si autoproclama re del protogallo: arrestato

Messaggiodi Aragorn il 24 mar 2007, 13:41

VICENZA — «Non sapete chi sono io!», avrebbe detto. Ma sì che lo sapevano chi stavano ammanettando: «Sua Altezza il Re del Portogallo, Principe di Sassonia Coburgo Gotha, Duca di Braganza, Gran Maestro diarca degliOrdini di Nostra Signora della Concezione di villa Vicosa e delle Dame nubili di Santa Isabella». O, meglio, Rosario Poidimani, un siculo- veneto che prima di essere arrestato per truffa aveva già avuto più guai giudiziari dei titoli nobiliari che si è auto appiccicato sul bavero.

La domanda è: vuoi che non immaginassero niente tutti i vanitosissimi baccalà che bussavano alla sua porta? Quegli «industrialotti, commercialotti e professorotti», per dirla con le parole di Bettino Craxi, che si mettevano in coda pronti a farsi infinocchiare pagando fior di quattrini pur di aggiungere al loro nome, sul biglietto da visita, uno straccio di titolo nobiliare, sia pure taroccato? Cinquemila euro, dice l’ordine di cattura firmato dal Gip di Busto Arsizio, Francesca Savignano, costava un «documento diplomatico ». Quasi duecentomila «il conseguimento di cariche consolari». E il giro d’affari era tale che, secondo il magistrato, il Re Tarocco e i suoi sette complici finiti in manette, avrebbero spazzolato almeno sette o ottocentomila euro.

È una pestilenza, questa ossessione per i titoli onorifici, vecchia come il cucco. Basti ricordare il caso di Marziano Lavarello, un effeminato rappresentante della Squibb che nel 1958, in una chiesa romana di confessione metodista, riuscì a farsi posare sulla testa da parte di «Sua Beatitudine il Patriarca dell’Antica Chiesa Bizantina» (un pretino dall’aria inquietante) la corona di «Altezza Imperiale Marziano II, Basileus, Tredicesimo Apostolo». Nonché «ducentesimonono Imperatore dei Romani». Il tutto sotto l’ala protettiva dell’«imperatrice madre», la «Basilissa Olga». Che avrebbe poi assistito il figlio nella sistematica distribuzione di titoli nobiliari fasulli e perfino in una fantastica rivendicazione, spedita per raccomandata al tribunale dell’Aja, del Regno di Serbia. Finché non fu citato in tribunale da Totò che, nel ruolo di principe Antonio De Curtis, sosteneva di essere lui l’erede del trono di Giustiniano e dunque d’essere l’unico a poter ostentare il titolo di «Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio ducas Comneno di Bisanzio, principe di Cilicia, di Macedonia, di Dardania, di Tessaglia...».
Debolezze umane... C’è gente che darebbe un polmone, per una manciata delle decine di onorificenze che grondano dal petto di Francesco Cossiga: Grand’Ufficiale dell’Ordine dell’Aquila Azteca, Grand’Ufficiale dell’Ordine «Orange Nassau», Gran Cordone dell’Ordine di Leopoldo I, Collare dell’Ordine Libertador San Martin, Balì d’Onore e devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, Collare Mohammedi dell’Ordine della Sovranità, Collare do Cruzeiro do Sol, Ordine di Re Tomislav di Croazia, Collare dell’Indipendenza del Qatar...

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Per non dire dell’invidia che rode il fegato d’un sacco di aspiranti conti e marchesi davanti al caso del duca di Devonshire che di titoli ne ha circa seicento e a metterli tutti in fila vien fuori un papiro più lungo del Morgante del Pulci. Ed è lì, nel ventre molle di questa ossessione, che si infilò Rosario Poidimani, che prende il cognome dalla marionetta che nel teatro dei Pupi compariva ad annunciare lo spettacolo del giorno dopo. Siracusano, ragioniere, già titolare di scuole private venete e trentine e socio di maggioranza di un’azienda di componenti di armi, finì la prima volta sui giornali il giorno dell’arresto, nell’84, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Imputato in una serie di precedenti penali per «truffe, assegni a vuoto, falso in cambiale, omessi contributi, false attestazioni sulla libertà personale», tutti evaporati per successive amnistie, arrivò alla notorietà, però, la sera che si presentò alla trasmissione Linea rovente di Giuliano Ferrara, per raccontare la sua storia. Meglio: la sua versione della storia. Diceva di essere, in sostanza, «figlio adottivo» (in cambio d’un vitalizio di due milioni e mezzo al mese, di 300 milioni a rate, della disponibilità di un’auto di media cilindrata e dell’usufrutto di un appartamento a Vicenza) dell’anziana Donna Maria Pia di Sassonia Coburgo Gotha, duchessa di Braganza, sedicente figlia illegittima di Carlo I, penultimo Re del Portogallo e di una certa Amelia Laredo y Mursia e dunque erede, a parer suo, del trono soppresso. Erede, s’intende, con diritto a creare nuovi aristocratici: «Un panettiere vende pane, io posso vendere titoli». Idea che, già prima dell’ultimo arresto, gli aveva creato delle grane.

A partire da una querelle giudiziaria con la vecchia duchessa: «Non ha pagato le ultime rate. Contratto nullo». Lui tirò diritto. Battagliando nei tribunali e tuonando, col plurale maiestatico: «Noi, DomRosario Poidimani, capo della Real Casa... ». Fino a infognarsi nell’ultima storiaccia. Che lo vede imputato, con sette collaboratori, anche per un buco di quasi un milione e mezzo di euro alla Banca Carige di Gallarate e tutta una serie di reati vari. Compresi quelli legati al ritrovamento di 712 «passaporti » e 601 «carte d’identità diplomatiche », scrive il magistrato, «emessi dalla sedicente Casa Reale del Portogallo».

E accompagnati da «timbri a secco, carte intestate, targhe e palette segnaletiche del tipo in uso alle forze di polizia» con lo stemma della sua Real Casa. Tutta roba buona, giura. Macché: lo Stato italiano, crudele, li considera falsi. Ma il dettaglio più divertente deve ancora venire. Ed è il volume che raccoglie tutti gli interventi di un solenne convegno internazionale tenuto ad Agrigento: «La Corte dei Conti nei paesi del Mediterraneo ». Un libro che, prima dei testi dei massimi giudici contabili, da Salvatore Buscema a Vincenzo Apicella fino al presidente Francesco Staderini, ha una presentazione firmata da lui: «Sua Altezza Reale Dom Rosario Poidimani di Sassonia Coburgo e Braganza». Nonché, scriveva nella nota a piè di pagina, presidente dell’ «Institut International pour les Relations Diplomatiques».

Che non figura neppure su Internet ma suona tanto fine. Che festa, la sera della presentazione! «Sua Maestà» regalò un Cavalierato, una Gran Croce o un Collare «real portoghese» a tutti, avvocati e assessori regionali, sindaci e magistrati. Allora del tutto ignari che il nostro, considerandosi sostanzialmente un monarca in esilio, ha sempre cercato di non pagare manco le tasse. E peccato che non ne sapesse niente Daniele Silvestri. Al suo tormentone poteva aggiungere una strofa: «La paranza è una danza / che si balla alla Real Casa di Braganza...».


«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,

le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»

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Messaggiodi veritas il 11 apr 2007, 19:56

Nel 1932 muore a Londra, senza figli, S.M. il re Manuele II del Portogallo. Al Sovrano sopravvive solo la sorellastra Maria Pia di Sassonia Coburgo Braganza. Che la predetta fosse figlia (ancorché illegittima) del defunto Re Dom Carlos di Portogallo, padre dell’ultimo Re Dom Manuel morto senza eredi, costituisce dato incontrovertibile in ogni sede e con autorità di giudicato nei confronti dello stesso ramo oppositore miguelista, il cui capo Duarte Nuno di Braganza aveva incardinato innanzi al Sommo Pontefice un giudizio per fare cancellare dal certificato di battesimo della predetta l’indicazione di figlia del Re Dom Carlos, in quanto ciò risulta ormai asseverato con sentenza della Tribunale della Sacra Romana Rota del 30 ottobre 1982. Non può sottacersi come il Supremo Tribunale del Sommo Pontefice in quella sede, nel dichiarare il difetto di legittimazione attiva del ricorrente (a seguito del fatto che questi non chiedeva di essere riconosciuto come legittimo pretendente al trono del Portogallo - circostanza che lo avrebbe posto in attrito con le autorità portoghesi - ma semplicemente che fosse disconosciuta la qualità, in capo a donna Maria Pia, di figlia del defunto Re Dom Carlos) abbia per ciò stesso ritenuto la propria competenza a decidere, competenza che si individuava, ai sensi dell’allora vigente canone 1557, para 1, I, in relazione alla circostanza che la persona su cui decidere fosse figlia di un soggetto ''"che deteneva il supremo governo dei popoli"'' o che, sempre la persona sulla quale occorreva pronunciare, ''"avesse diritto di succedere nel principato entro brevissimo tempo"'', confermano, poi, conclusivamente, la validità e gli effetti del certificato di battesimo e di quanto in esso asseverato.

Si può a questo punto pervenire all'incontrovertibile conclusione fondata sul giudicato della Sacra Romana Rota: Donna Maria Pia di Bragança era figlia del Re Dom Carlos I di Portogallo.

Secondo il principio della "immediata successione", tipico del diritto nobiliare, la sorellastra del defunto Sovrano diviene, ex jure, Duchessa di Bragança.

E’ ininfluente la nascita adulterina di Maria Pia per vari ordini di ragione.
Inanzitutto perché va considerato il fatto che la stessa Real Casa di Bragança ha origine nel 1640 quando Giovanni IV del Portogallo, duca di Bragança (motivo per il quale ai Capi della Casa Reale del Portogallo spetta il titolo di duca di Bragança), discendente da un figlio illegittimo (ed ecco provata l’irrilevanza della bastardigia ai fini della successione nella Casa di Bragança), di Giovanni I di Braganza, re di Portogallo, diviene Re assumendo il nome di Giovanni IV di Portogallo: peraltro lo stesso Giovanni I, decimo re del Portogallo, era figlio illegittimo del re Pedro I di Portogallo (regolarmente sposato con Constança Manuel, principessa di Vilhena - Spagna) e di una signora della Galizia di nome Teresa Lourenço. A ciò si aggiunga che Alfonso I di Braganza, figlio illegittimo del re Giovanni I e di Inés Perez Esteves, fu duca di Bragança dal 1442 fino alla morte avvenuta nel 1461. Si sposò due volte e dalla prima moglie, Beatrice Pereira de Alvim, ebbe come secondo figlio Ferdinando I di Bragança, che diventò secondo Duca di Bragança (1403 - 1478).

Poi va considerato il documento reale di S.M. dom Carlos il quale, richiedendo la imposizione delle acque battesimali, indica il nome designato per la figlia e, per di più, statuisce che, attraverso la imposizione sacramentale del nome (ed infatti si parla del sacramento del battesimo) la bambina possa da allora in avanti, godere in uno con il nome (''"...godere d’ora in avanti di questo nome..."'') di tutti gli onori, prerogative, preminenze, obblighi e vantaggi degli Infanti della Casa di Bragança di Portogallo.

Chiara quindi l’intenzione del Re che, attraverso il di lui nome "''poder chamar-se com o meu nome..''(poter chiamarsi col mio nome...)" la figlia Maria Pia venga in tutto e per tutto equiparata ai figli legittimi. Non va dimenticato che di norma i figli naturali di sovrani, venivano esclusivamente gratificati di titoli nobiliari riconducibili alla corona senza per altro che assumessero anche il nome del genitore.

Nel caso invece di Maria Pia, secondo questa linea dinastica e per i suoi sostenitori, essa diviene Infanta di Portogallo e principessa reale al nascere, automaticamente entrando in linea di successione.

Il Re dom Carlos era ben consapevole di quanto andava a firmare. Prova ne è che, al fine di evitare problemi di natura politica e dinastica (non dimentichiamo che il Re aveva due figli maschi viventi), invia la propria figlia Maria Pia a Madrid, per ivi ricevere il battesimo.

L’art. 85 dell'ultima Costituzione monarchica del 1838 sancisce la inviolabilità e la sacralità della persona del re e la non assoggettabilità assoluta alle leggi.

E’ chiaro che la Costituzione monarchica portoghese assorbe e fa proprio il principio del ''"superiorem non recognoscens"'' in capo al sovrano confermando quanto espresso anche dal cardinale Giovan Battista De Luca (1614 - 1683) che definisce "suprema" la potestà del re che nasce dal principio assoluto e sovrano e che non può riconoscere altra potestà se non proveniente da Dio. E’ altrettanto chiaro che, al di fuori delle norme che disciplinano l’esercizio e le funzioni dello Stato, il re agisce tanto come Capo della Casa Reale che come Capo della Nazione.

L’articolo 96 della stessa costituzione, regola la successione alla Corona la quale deve seguire l’ordine regolare della primogenitura tra i "legittimi" discendenti della ''"..regina attuale.."'' (cioè Maria II del Portogallo).

Non vi è dubbio che il Re dom Carlos sia un legittimo discendente della regina Maria II e che Maria Pia sia stata, per volontà del Re, in modo espresso e non tacito, legittimata mediante il riconoscimento e la concessione delle prerogative regie.

D’altronde, se lo stesso Tribunale non avesse riconosciuto in Donna Maria Pia il diritto a succedere nel principato avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza in favore dei tribunali ecclesiastici ordinari, atteso che nel 1982 non poteva, la stessa, più farsi rientrare nell’altra categoria delle figlie di coloro che hanno (il Re padre era morto da tempo) il supremo governo dei popoli.

A tutto ciò si può aggiungere che nella Casa di Bragança e nella successione al trono del Portogallo la bastardigia non è mai stata considerata dirimente, come già sopra evidenziato, e deve, quindi ritenersi che la Costituzione del 1838 non abbia inteso porsi in contrasto con tale regola dinastica familiare: l’espressione "discendenti legittimi" (non viene usato il termine "figli") andrebbe letta, pertanto, in armonia con tale regola e non intesa come figli legittimi in quanto nati all’interno del matrimonio ma, in termini più generali, come discendenti aventi un legittimo titolo di successione sulla base delle regole di famiglia della Casa Reale: la differenza non è di poco conto.

Donna Maria Pia, in quanto figlia, pure legittimata per volontà sovrana, al momento della morte del fratellastro è divenuta Duchessa di Bragança e Capo della Casa Reale del Portogallo secondo la linea dei Sassonia Coburgo e Braganza.

A questo punto resta da indagare quali siano i poteri di un sovrano non più regnante e, in particolare, se possa egli stesso modificare le regole della successione.

Il diritto internazionale è concorde nel ritenere che un Sovrano mantiene il proprio diritto di sovranità, anche nel caso in cui fossero impediti nell’esercizio dello stesso e lo mantengono, di generazione in generazione fino a che non intervenga uno degli atti che manifesti una rinuncia o che vengano modificati i precedenti rapporti.

Thomas Hobbes, ideatore del giusnaturalismo, afferma che, quand’anche il sovrano perdesse il territorio, non perde i diritti sovrani. Li conserva "in pectore et in potentia" mantenendo il reale esercizio in sospeso, restandone però la pretesa, da cui trae origine il termine "pretendente".

Tali poteri sono lo ''Jus Majestatis'' e lo ''Jus honorum'' che prevede il diritto a concedere onori, titoli e dignità cavalleresche. A puro titolo incidentale, va fatto presente che tali principi sono stati recepiti concordemente dalla giurisprudenza italiana, diventando di fatto dottrina. E altro non poteva essere.

Tutte le prerogative sopra richiamate sono applicabili a Donna Maria Pia.

La XXI duchessa di Bragança ha inteso esercitarle anche nel momento in cui ha ritenuto di abdicare in favore di Dom Rosario Poidimani.

In particolare, la principessa, avendo avuto a mente quanto disposto dalla costituzione monarchica più volte citata, ed in particolare all’art. 97 che prevede le modalità successorie alla corona, ha provveduto a modificarle così come ha fatto con l’art. 100 che stabiliva come nessuno straniero potesse succedere alla corona di Portogallo.

La domanda che ci si può porre è se Maria Pia potesse spingere i propri poteri fino alla modifica della costituzione monarchica.

L’art. 81 della costituzione monarchica prevedeva che spettasse al Re, tra l’altro, sanzionare e promulgare le leggi.

Il potere di sanzione, come è noto, comporta un’effettiva e sostanziale partecipazione all’esercizio del potere legislativo. Ciò significa che in assenza delle Cortes (paragonabili all’attuale Parlamento) unico titolare del potere legislativo resta il Re.

Se il Sovrano non viene debellato, se cioè mantiene per sé le prerogative règie, lo stesso sarà chiamato a rifarsi il più possibile a quanto previsto nella costituzione di riferimento, avendo per altro presente che ''"ad impossibilia nemo tenetur"''.

Non esistendo più le Cortes, il pretendente dovrà agire come se le Cortes fossero ancora in funzione, pur mancando un Governo monarchico in esilio che di per sé legittimerebbe la presenza e funzionalità degli organi legislativi.

Usando quindi del potere immediato ed ordinario che deriva dall’essere il Capo di nome e d’Arme della sua Casa, ed avendo la materia come oggetto la successione alla sua Casa, identificando i soggetti complementari della propria decisione, quali avrebbero potuto essere le Cortes, nel corpo della nobiltà e dei Fidalgos Cavaleiros, ha di fatto abrogato l’art. 100 e modificato l’art. 97 della stessa costituzione in modo da permettere una successione alla Corona secondo quanto la stessa duchessa ha ritenuto meglio accettabile nell’interesse della Real Casa e della causa di legalità da proseguire nel tempo abdicando dunque in favore di Dom Rosario.

8-) 8-) 8-) 8-) 8-)
veritas
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Messaggiodi diegofio il 11 apr 2007, 23:43

8O benvenuto mai pensato di scrivere un libro
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Messaggiodi nemesys_72 il 12 apr 2007, 09:06

diego.fiozzi ha scritto:8O benvenuto mai pensato di scrivere un libro


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