I militari italiani sono in guerra ma il governo nega

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I militari italiani sono in guerra ma il governo nega

Messaggiodi Aragorn il 01 mag 2007, 13:26

Il ministro della Difesa Arturo Parisi ha espresso la sua preoccupazione per le azioni militari in corso nella provincia occidentale di Herat, che rappresenta il punto d'insediamento del contingente italiano in Afghanistan, oltre alle aliquote dislocate a Kabul. E ha chiesto urgenti ragguagli ai vertici militari italiani, in ordine alle indiscrezioni
secondo le quali anche contingenti italiani parteciperebbero a tali azioni, al di fuori dunque del mandato che la maggioranza di centrosinistra ritiene di aver tassativamente dato alle unità militari italiane dislocate, mandato che sarebbe esclusivamente volto al sostegno alla sicurezza dato alle forze e alle autorità afgane nelle aree in cui siamo schierati.
Chiedere pubblicamente spiegazioni ai vertici militari italiani rappresenta già un'iniziativa al limite estremo delle facoltà alle quali dovrebbe fare ricorso un ministro della Difesa, poiché significa inequivocabilmente dare corpo all'ipotesi che la catena gerarchica di comando delle nostre forze armate possa prendere in considerazione e concretamente attuare elusioni inconfessate e inottemperanze esplicite al mandato stabilito dalle competenti autorità politiche di governo.
Di conseguenza, il passo compiuto ieri dal ministro Parisi è la classica forzatura alla quale un ministro della Difesa che ha problemi nella sua maggioranza si presta, chiedendo all'ammiraglio Di Paola, capo di Stato maggiore della difesa, e al generale Fabrizio Castagnetti, responsabile del Comando operativo di vertice Interforze del nostro dispositivo militare, di chiudere benignamente un occhio e di non reagire, a una richiesta di spiegazioni tanto irrituale da lambire l'incidente istituzionale, e l'accusa di insubordinazione da parte dei militari alle autorità di governo.

Inconfessabili

Forse è venuto il momento di considerare le vicende afgane e il compito dei nostri militari su quel teatro nella loro fredda oggettività, al di là degli smorzamenti di tono e delle versioni di comodo alle quali il vertice politico del governo italiano "deve" piegarsi, per evitare o quanto meno limitare tensioni e incidenti parlamentari con l'intransigente ala della maggioranza - Verdi, Comunisti italiani, Rifondazione, ma anche numerosi esponenti della sinistra Ds oggi usciti o in uscita dal partito, nonché qualche esponente iper pacifista della Margherita - che è contraria a ogni coinvolgimento italiano in azioni armate.
La verità, come il nostro ministro della Difesa Parisi sa per altro benissimo, visto che gli osservatori specializzati di cose militari ne scrivono apertamente su siti "per addetti ai lavori" ma che tuttavia sono fonti aperte, è che al di là delle forze schierate a Herat e Kabul, le nostre forze armate cooperano in Afghanistan direttamente e con proprie aliquote, all'interno della Combined Special Forces Task Group. In altre parole, il Comando Forze Speciali agli ordini del generale Mario Bertolini, comando che ha sede a Centocelle insieme al Coi del generale Castagnetti che coordina tutto il dispositivo interforze italiano in azione sui diversi teatri internazionali, sin dall'inizio delle operazioni in Afghanistan ruota aliquote delle nostre forze speciali in coordinamento con quelle americane, britanniche, spagnole e degli altri contingenti presenti.

Il velo protettivo

Le aliquote oggi impegnate, provenienti dal nono reggimento incursori paracadutisti Col Moschin e dal 185° reggimento acquisizione obiettivi sempre della stessa Folgore, hanno una molteplicità di compiti assai delicati. Rappresentano il "velo protettivo a vasto raggio" delle nostre forze nella provincia occidentale di Herat,
nel senso che da quando un mese fa sono partite operazioni coordinate di forze americane e spagnole nella parte meridionale di Helmand, per contrastare l'ingresso in forze di bande talebane verso il Nord, le nostre forze speciali si sono date molto da fare non solo per monitorare agli estremi confini della nostra area i movimenti ostili, ma hanno anche cooperato all'individuazione dei bersagli della cinquantina di azioni aeree quotidianamente compiute da velivoli americani e britannici - il bollettino del giorno prima è puntualmente messo in rete dal Centaf Usa - per "spianare al suolo" le forze talebane che tentano di avvicinarsi a Herat.
Si tratta di forze consistenti, visto che più di cento sono i guerriglieri talebani eliminati solo nell'ultimo paio di giorni. Forze che dunque rappresentano una minaccia diretta per il nostro dispositivo di forze stanziali. E - torniamo a dire - come il ministro della Difesa sa benissimo, il mandato che stabilisce il limite d'impiego delle nostre forze speciali, all'interno del dispositivo combinato alleato, prevede che esse possano e anzi debbano entrare in azione quanto meno in due precisi casi, anche a grande distanza dalla dislocazione in postazione fissa o mobile di reparti italiani: laddove vi sia concreta e immediata minaccia da parte di forze ostili ai danni di popolazione civile e inerme, e quando le forze ostili rappresentino appunto una minaccia inequivocabilmente condotta alle forze alleate e alle stesse forze italiane.

Con elemetto e cintura di sicurezza

Fino a prova contraria, se centinaia e anzi migliaia di talebani entrano nella provincia dove siamo schierati, è dura far finta di cadere dalle nuvole e chiedere ai vertici militari italiani spiegazioni, proprio quando due militari di Paesi alleati - uno americano - ci hanno rimesso le penne per difendere i nostri. Che i nostri incursori facciano sparare e sparino, per difendere i propri commilitoni e gli alleati, non dovrebbe rappresentare se non il perseguimento della propria missione. E per fortuna lo fanno da sempre, senza in alcun modo contravvenire al mandato loro attribuito, anche se la pietosa commedia politica italiana spinge i media a scrivere il contrario.
Già un mese fa un nostro militare delle forze speciali, del Col Moschin, è stato leggermente ferito in un'azione che si è svolta presso Farah, uno dei quattro nuclei forte della presenza nella provincia occidentale. E in quell'occasione è emerso per gli addetti ai lavori un altro particolare del tutto paradossale. Vigendo il codice penale militare di pace, la competenza sulle nostre forze armate impegnate in Afghanistan è civile. Quando il comandante del Col Moschin si è visto aprire un'inchiesta da un magistrato civile per appurare se il suo ferito avesse l'elmetto ben calzato e magari la cintura di sicurezza allacciata, ha alzato gli occhi al cielo. Per fortuna che i militari italiani ci han fatto il callo, ai paradossi politici del loro Paese. Ma sarebbe anche il caso di mettere un limite alla loro presa in giro. E siamo sicuri che il ministro Parisi, da ex allievo della Nunziatella, sa che è solo per amore dell'Italia e di chi la serve fedelmente, e nient'affatto per polemica nei suoi confronti, che chiediamo più rispetto per chi veste la divisa e rischia la pelle.


«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,

le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»

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