PECHINO - "Ho lavorato dall'alba fino alle due di notte. Ero esausta ma il giorno dopo mi hanno costretto a ricominciare". È una bambina cinese di 13 anni a parlare, una piccola operaia-schiava che fabbrica i gadget con il logo ufficiale per le Olimpiadi del 2008. La sua testimonianza è stata raccolta da attivisti umanitari cinesi che sono riusciti a infiltrarsi in segreto in quattro aziende del sud del paese: tutte lavorano per conto del Comitato olimpico di Pechino. Queste aziende sono state regolarmente autorizzate a produrre i popolari oggetti in vendita con il marchio dei Giochi: borse e zainetti, T-shirt, berretti, quaderni, figurine e album illustrati per bambini.
Il marketing degli oggetti griffati vale da solo 70 milioni di dollari, per gli organizzatori cinesi delle Olimpiadi. Ma dietro questo business ci sono fabbriche-lager dove si sfruttano i bambini, vige un clima di terrore, non vengono rispettati neppure i modesti diritti dei lavoratori previsti dalla legislazione cinese. "Nessuno indossa guanti protettivi qui - rivela un altro piccolo operaio che usa vernici tossiche e additivi chimici pericolosi - perché coi guanti si lavora meno in fretta e il caporeparto ti punisce. Le mie mani mi fanno molto male, quando le lavo piango di dolore".
Queste testimonianze sono state raccolte a Shenzhen e nel Guangdong in quattro stabilimenti chiaramente identificati: Lekit Stationery (prodotti di cancelleria), Mainland Headwear Holdings (berretti sportivi), Eagle Leather Products (pelletteria) e Yue Wing Light Cheong Light Products (zainetti e accessori). Tutti lavorano alla luce del sole per conto delle autorità olimpiche cinesi.
A smascherare gli abusi sistematici che avvengono in quelle fabbriche sono stati gli attivisti locali di PlayFair 2008, sigla che si traduce in "Gioca lealmente 2008": è un'organizzazione promossa e sostenuta dai sindacati occidentali dei lavoratori tessili e dall'ong umanitaria Clean Clothes. L'inchiesta sul campo è iniziata nell'inverno 2006. Dopo sei mesi di appostamenti, contatti segreti e interviste clandestine con gli operai, il quadro che emerge è disperante. Il lavoro minorile dilaga, alcuni bambini e bambine hanno appena 12 anni e sono già alla catena di montaggio. Una fabbrica di oggetti di cancelleria impiega venti bambini che ha ingaggiato durante le vacanze scolastiche: lavorano dalle 7.30 del mattino alle 22.30, con gli stessi ritmi degli adulti. Spesso sono obbligati a fare straordinari, non remunerati. Perfino il salario degli operai adulti in queste aziende, a 20 centesimi di euro all'ora, è la metà del minimo legale in vigore nella regione del Guangdong (già molto basso).
Molti di loro sono costretti a lavorare sistematicamente 15 ore al giorno per sette giorni alla settimana, 30 giorni al mese, senza riposi né festività. I proprietari di Mainland Headwear costringono i dipendenti a mentire in caso di visite da parte degli ispettori del lavoro.
A Shenzhen - la città della Cina meridionale che ha conosciuto un boom industriale spettacolare e ha il più alto reddito pro capite della zona - c'è un'impresa che produce su licenza ufficiale 50 oggetti griffati con il logo olimpico: lì i registri delle buste paga sono stati ripetutamente falsificati dai manager per fare apparire orari più corti e salari più alti. In quella fabbrica gli operai lamentano gravi problemi di salute, incidenti sul lavoro, malattie della pelle dovute al contatto con agenti chimici, difficoltà respiratorie per le polveri tossiche.
Alcuni operai hanno osato denunciare questi problemi alle autorità locali e sono stati licenziati in tronco.
Il rapporto di denuncia divulgato da PlayFair si intitola "Niente medaglie olimpiche per i diritti dei lavoratori". Guy Rider, segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati del tessile-abbigliamento, ha dichiarato: "È vergognoso che questi gravi abusi avvengano in fabbriche che hanno la licenza ufficiale del comitato olimpico". Il sindacalista ha esortato il Comitato olimpico internazionale (Cio) a premere sugli organizzatori cinesi perché cessino queste violazioni dei diritti umani.
A Pechino il comitato olimpico locale ha reagito annunciando che revocherà le licenze alle quattro aziende incriminate nel rapporto PlayFair. Ma le fabbriche dove avvengono questi abusi sono sicuramente più numerose. Le autorità di polizia locali avrebbero la possibilità di smascherare altre illegalità. A differenza degli attivisti di PlayFair costretti a indagare nella clandestinità, le forze dell'ordine cinesi hanno poteri pressoché illimitati e possono agire alla luce del sole. La ragione per cui non lo fanno è intuibile. In un caso di cronaca recente 31 operai sono stati liberati dalla schiavitù in una fabbrica di mattoni dello Shanxi. Da un anno lavoravano senza ricevere salario, solo razioni di pane e acqua. Il proprietario della fabbrica era il figlio del boss locale del partito comunista. Sono diffuse le collusioni e l'omertà tra il capitalismo selvaggio, la nomenklatura politica, la polizia e la magistratura.
In vista delle Olimpiadi però la Cina sarà sottoposta a uno scrutinio sempre più pressante da parte dell'opinione pubblica occidentale. Per il regime i Giochi di Pechino sono una formidabile operazione d'immagine, devono consacrare il nuovo status del paese come superpotenza globale, il prestigio di Pechino come capitale cosmopolita e moderna, il fascino turistico della Cina. Ma oltre ad attirare almeno mezzo milione di visitatori stranieri, i Giochi saranno un momento di forte visibilità anche per ogni forma di dissenso, di disagio sociale e di denuncia di abusi.