la grottesca castronata sul voto estero

Le assurde modalità burocratiche con cui è organizzato il voto degli italiani all’estero è destinata anche quest’anno a provocare polemiche a non finire. Polemiche che al secondo ripetersi rischiano di assumere la specie della farsa.
E a chi si chiedesse il motivo dell’ulteriore diminuzione dei votanti rispetto alle elezioni politiche del 2006 (si è passati dal 42,07% degli aventi diritto a poco più del 41%) la risposta da fornire è semplice quanto sconfortante: la Farnesina e la sua burocrazia si sono semplicemente “dimenticate” di comunicare per tempo a tutti quei residenti all’estero che avevano optato per il voto in Italia subito dopo l’approvazione della legge Tremaglia che questa opzione andava ribadita anche quest’anno. Precisamente entro lo scorso 11 marzo. Pena l’invio del plico contenente tutto il necessario per votare nel paese di residenza.
E infatti ieri alcune decine di migliaia di cittadini italiani si sono recati, del tutto ignari della circolare emanata solo a febbraio (e alla chetichella senza che nessuno venisse informato) a votare al seggio in Italia ma non hanno potuto esprimere la propria preferenza né per la Camera né per il Senato. Stranamente li hanno fatti invece votare per le elezioni amministrative.
Qualcuno di loro ha chiamato la casa di residenza, chi in Francia, chi in Germania, chi in Uruguay, e ha scoperto che in effetti “in data 28 marzo era arrivato un plico che spiegava che il voto andava esercitato entro il successivo 7 aprile”. Peccato che in quel momento tanti cittadini residenti all’estero si trovassero invece in Italia. E nessuno li avesse avvertiti di questa pensata burocratica del ministero di Massimo D’Alema. Quasi tutti gli interessati fra l’altro sostenevano, taluni in maniera molto animata ai seggi elettorali, che l’opzione di voto in Italia dovesse intendersi tacitamente rinnovata salvo disdetta. E invece no.
Non si sa bene se per dabbenaggine burocratica o magari per sabotare questa legge sul voto degli italiani all’estero, che nata sotto una cattiva stella continua a vivere la propria parabola negativa, qualcuno ha fatto la pensata di chiedere il rinnovo di questa opzione senza però avvertire per tempo le persone, magari con un paio di mesi di anticipo.
Totale? Si può stimare che un buon uno, due per cento dei cittadini italiani residenti all’estero anche questa volta non ha potuto votare. E tutto per non aver voluto fare una legge molto più razionale, come quella americana, che prevede l’utilizzo dei consolati per il voto del cittadino americano anche quando si trova in vacanza in un qualsiasi paese del mondo. Il cittadino americano che si recasse in ferie in Cina, ad esempio, può infatti votare nel consolato di Shangai, di Pechino o di qualunque altra città cinese in cui detto consolato fosse presente. Quello italiano può votare solo nella propria circoscrizione in cui è allestito il seggio all’estero oppure può optare per il voto in patria nella propria ex sezione di voto. Però, a quanto pare, deve a ogni elezione manifestare la propria opzione, senza che nessuno ovviamente si degni di avvisarlo.
Non è un mistero che una buona parte di chi risiede all’estero lo fa solo per alcuni mesi all’anno. Ma alla feroce quanto stupida burocrazia italiana, segnatamente quella del ministero di D’Alema, tutto ciò sembra non interessare.
E a chi si chiedesse il motivo dell’ulteriore diminuzione dei votanti rispetto alle elezioni politiche del 2006 (si è passati dal 42,07% degli aventi diritto a poco più del 41%) la risposta da fornire è semplice quanto sconfortante: la Farnesina e la sua burocrazia si sono semplicemente “dimenticate” di comunicare per tempo a tutti quei residenti all’estero che avevano optato per il voto in Italia subito dopo l’approvazione della legge Tremaglia che questa opzione andava ribadita anche quest’anno. Precisamente entro lo scorso 11 marzo. Pena l’invio del plico contenente tutto il necessario per votare nel paese di residenza.
E infatti ieri alcune decine di migliaia di cittadini italiani si sono recati, del tutto ignari della circolare emanata solo a febbraio (e alla chetichella senza che nessuno venisse informato) a votare al seggio in Italia ma non hanno potuto esprimere la propria preferenza né per la Camera né per il Senato. Stranamente li hanno fatti invece votare per le elezioni amministrative.
Qualcuno di loro ha chiamato la casa di residenza, chi in Francia, chi in Germania, chi in Uruguay, e ha scoperto che in effetti “in data 28 marzo era arrivato un plico che spiegava che il voto andava esercitato entro il successivo 7 aprile”. Peccato che in quel momento tanti cittadini residenti all’estero si trovassero invece in Italia. E nessuno li avesse avvertiti di questa pensata burocratica del ministero di Massimo D’Alema. Quasi tutti gli interessati fra l’altro sostenevano, taluni in maniera molto animata ai seggi elettorali, che l’opzione di voto in Italia dovesse intendersi tacitamente rinnovata salvo disdetta. E invece no.
Non si sa bene se per dabbenaggine burocratica o magari per sabotare questa legge sul voto degli italiani all’estero, che nata sotto una cattiva stella continua a vivere la propria parabola negativa, qualcuno ha fatto la pensata di chiedere il rinnovo di questa opzione senza però avvertire per tempo le persone, magari con un paio di mesi di anticipo.
Totale? Si può stimare che un buon uno, due per cento dei cittadini italiani residenti all’estero anche questa volta non ha potuto votare. E tutto per non aver voluto fare una legge molto più razionale, come quella americana, che prevede l’utilizzo dei consolati per il voto del cittadino americano anche quando si trova in vacanza in un qualsiasi paese del mondo. Il cittadino americano che si recasse in ferie in Cina, ad esempio, può infatti votare nel consolato di Shangai, di Pechino o di qualunque altra città cinese in cui detto consolato fosse presente. Quello italiano può votare solo nella propria circoscrizione in cui è allestito il seggio all’estero oppure può optare per il voto in patria nella propria ex sezione di voto. Però, a quanto pare, deve a ogni elezione manifestare la propria opzione, senza che nessuno ovviamente si degni di avvisarlo.
Non è un mistero che una buona parte di chi risiede all’estero lo fa solo per alcuni mesi all’anno. Ma alla feroce quanto stupida burocrazia italiana, segnatamente quella del ministero di D’Alema, tutto ciò sembra non interessare.