IL DIARIO DELLA TRAGICA SPEDIZIONE SUL NANGA PARBAT

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IL DIARIO DELLA TRAGICA SPEDIZIONE SUL NANGA PARBAT

Messaggiodi diegofio il 07 ago 2008, 16:11

IL DIARIO DELLA TRAGICA SPEDIZIONE SUL NANGA PARBAT
«Ho scavato, là sotto
c’erano gli occhi di Karl»
Volevamo portarlo via, non ci siamo riusciti.
Gli aiuti? Non li abbiamo chiesti noi

DI WALTER NONES E SIMON KEHRER

DOMENICA 13 LUGLIO
L'attesa al campo base

Siamo al campo base del Nanga Parbat, ai 3950 metri. E' tutto pronto per partire, gli zaini sono fatti. Il tempo va migliorando, ormai ci siamo. Sento un'emozione identica a quella della vigilia del primo giorno di scuola. Abbiamo studiato tutto nei dettagli, con le fotografie, ma la verità è che non sappiamo cosa ci attende, è tutto nuovo. Karl sta cambiando modo di fare l'alpinismo e sono felice di farlo con lui. Cerca pareti nuove, difficili e non attrezzate. Se in vetta troveremo tempo buono abbiamo pensato di aprire una via nuova anche per la discesa perché la Buhl ormai è un'autostrada. Vedremo.
(Walter Nones)
E' un mesetto che ci stiamo acclimatando, ora ci sentiamo tutti e tre in forma. Domani ha tutta l'aria di essere il grande giorno. La montagna è gigantesca, sembra un labirinto di ghiaccio e neve. Mi chiedo se ce la faremo ad arrivare in vetta. In montagna le cose non diventano mai più semplici di come sono in partenza. E' il mio primo ottomila, un'emozione infinita. (Simon Kehrer)

LUNEDI' 14
È notte, si parte

E' incredibile la calma e la serenità che è in grado di trasmetterci Karl. Ci carica di entusiasmo e allo stesso tempo ci tranquillizza sulla nostra preparazione tecnica. Stamattina abbiamo chiamato Karl Gabl, che da Innsbruck prepara il tempo per gli alpinisti di tutto il mondo. Ci ha detto che il Nanga non l'ha ancora fatto, di richiamare. (Simon)
Karl ha risentito Gabl alle 10 di sera, là è ancora pomeriggio. Ci hanno detto che fino a giovedì sarà bello, poi potrebbe cambiare, di richiamare per gli aggiornamenti. Ci siamo guardati tutti e tre negli occhi. Ci è bastato uno sguardo. Si parte!! Ci mettiamo subito in marcia. Walter ha pure i tortellini nello zaino! Ce li faremo fuori alla prima sosta, così eliminiamo 250 grammi! Abbiamo scalato 2000 metri. La scelta di partire di notte è stata corretta: ci sono continue scariche di pietre e ghiaccio, ma almeno il freddo trattiene meglio i sassi. Percorriamo una morena. A mezzanotte siamo sotto la parete, la vera partenza. Ci riposiamo un po', beviamo qualcosa. Ma è già ora di riprendere la marcia. (Walter)

MARTEDI' 15
La neve ha rapito Karl

Siamo ripartiti tranquilli, come se avessimo un navigatore in corpo. Invece avevamo solo il fanalino in testa e la luna piena che ci ha accompagnati nella notte. Abbiamo affrontato lo spigolo slegati, ma lì sotto ci sentivamo protetti perché scaricava sui due lati. Le regole le abbiamo decise prima di partire: fino a pendenze di 60˚ si va slegati, distanti 50 metri. Ci siamo incantati di fronte all'alba, uno spettacolo incredibile: il rosso su un'infinità di bianco. Karl è davvero forte, non perde mai il buonumore, non sembra mai stanco. Ci dice: «Ci fermiamo a un autogrill a bere qualcosa?». Siamo scoppiati in una sonora risata. L'unico rumore umano su quella montagna. Ci siamo studiati tutto il percorso con i binocoli e Karl ha una memoria di ferro, ricorda e soprattutto riconosce ogni pendenza, ogni crepaccio. Per lui osservare la parete è come leggere un libro. E noi ora stiamo imparando a farlo come lui. Gli ultimi 80 metri sono stati una faticaccia. Due tiri misti su ghiaccio e roccia, legati perché i passaggi erano molto complicati. Ci abbiamo messo tre ore! Alla fine dello spigolo siamo finiti in neve fresca, poi un altro tiro per uscire da un seracco, poi ancora neve fresca. Che giornata infinita! Abbiamo scalato dalle 22 alle 16 del giorno dopo. Ci siamo macinati 2400 metri di dislivello. Io ero un po' lento, Karl mi ha chiesto come stavo. Mi sentivo bene. (Walter)

È questo il momento più difficile da ricordare e da scrivere. «Vi piace? Non è bellissimo? » ci ha detto Karl, con il suo solito sorriso contagioso. Ormai era ora di accamparci. Da lontano io e Karl abbiamo individuato un posto per la tenda. Gli ho detto di stare attento, che sembrava una crepacciata e lui: «Vado a vedere». Sono le ultime parole che gli ho sentito pronunciare. L'ho visto calpestare prudentemente la neve, passo dopo passo. Ero a tre metri. A un certo punto è sparito nella neve. Non l'ho sentito gridare, non ho sentito nulla. Ho pensato fosse caduto in un crepaccio di duetre metri. Io non avevo messo in conto che potesse essere morto. Per me era come fosse immortale, e mi rendo conto che è una cosa stupida. L'ho chiamato, ho urlato, ma non rispondeva. Ho gridato a Walter che stava dieci metri indietro che Karl era caduto in un buco, ma ho visto che pure lui stentava a capire. (Simon)

Sono corso su, ho urlato come un pazzo, ma Karl non rispondeva e non lo si vedeva. Probabilmente si è aperto un ponte di neve e ci è finito dentro. Non sapevamo che fare perché la corda ce l'aveva Karl nel suo zaino. Allora abbiamo preso tutte le fettucce e i cordini e li abbiamo uniti per formare un'unica fune, lunga una quindicina di metri. Simon si è legato e io l'ho calato. Non abbiamo mai smesso di chiamare, ma da là sotto arrivava solo silenzio. (Walter)

Mi sono calato nel crepaccio. C'era un vuoto di almeno trenta metri, ma non si vedeva nulla. Ho avuto paura, sì, mi sono spaventato. Ho visto la traccia della caduta, era dritta. Ho scavato con le mani, avrò tirato su settanta centimetri, ma dopo una giornata così lunga ero sfinito. Non si vedeva niente accidenti. E stava diventando tardi, dovevamo piantare la tenda. Allora ho preso la piccozza, ho sondato la neve e ho individuato lo zaino di Karl, incastrato. Ho cercato il viso, l'ho liberato dalla neve. Era molto pallido, gli occhi aperti. Il volto era quello di sempre, sereno e contento. Gli ho toccato il polso, ma non c'era più niente da fare. Ho avuto l'impressione che Karl nella caduta si sia rotto l'osso del collo, ma il suo volto era felice. Ci abbiamo provato a portarlo su, ma eravamo in bilico su un ponte di neve. Ho pensato a Silke, volevo riportarglielo il suo uomo, ma era un'impresa impossibile con il materiale che avevamo. Con due corde forse ce l'avremmo fatta. Ho tirato su lo zaino, ci serviva la corda per poter continuare. Ci siamo presi anche il satellitare, ma era una continua «ricerca rete». Alle 19, stravolti, abbiamo montato la tenda lì, vicino a Karl. La prima sosta, già senza il nostro capo squadra. (Simon)

Io e Simon non ci siamo più parlati. Avevamo bisogno del silenzio per elaborare il nostro lutto, ognuno per conto suo. Solo che i tempi dei sentimenti e quelli della montagna non vanno a braccetto. C'era la nostra vita in ballo e allora mi sono deciso ad aprire bocca: «Dobbiamo decidere che cosa fare, di Karl e di noi». Dopo ore di silenzio abbiamo cominciato a discutere, abbiamo analizzato ogni possibilità. Salire ci dava più sicurezza. Scendere con due viti da ghiaccio e due da roccia ci sembrava pericoloso. Ci siamo chiesti se arrivare in vetta. Ma abbiamo deciso che la cima era di Karl, che non era giusto arrivare in due se eravamo partiti in tre, era come rubargli qualcosa. Ci siamo messi a dormire. E' stato l'unico momento di debolezza che mi sono concesso. Un pianto per Karl. (Walter)

MERCOLEDI' 16
Il suo zaino come croce


Abbiamo trascorso la notte a ripeterci: «Dormi?» «No, sto pensando». Non vedevo l'ora che Walter attaccasse a parlare. A un certo punto, all'alba, ho sentito come una persona che fischiava. Siamo usciti in fretta dalla tenda, ci siamo aggrappati all'idea che qualcuno stesse arrivando, forse Karl stava tornando. E' una cosa assurda, lo so. Karl l'ho visto con i miei occhi, immobile nel ghiaccio. Devi rassegnarti, devi accettare la morte, ma la verità è che non vuoi. Mi sono tornati in mente Silke e i loro tre bambini. La loro vita sarebbe cambiata, ma ancora non lo sapevano. (Simon)
Finalmente la mattina, spostandoci di qualche metro, abbiamo trovato campo. Io alle dieci ho chiamato Manuela, le ho detto di Karl, ma di stare tranquilla perché noi stiamo bene e saremmo scesi dalla Buhl, che avrei richiamato dal campo base. Simon ha chiamato il manager di Karl, Herbert Mussner. Poi il telefono si è scaricato definitivamente. Siamo tornati nel buco dove c'era Karl, ci siamo calati ancora, ma era impossibile recuperarlo, non ce l'avremmo mai fatta. Così abbiamo preso il suo zaino e lo abbiamo messo sopra il crepaccio: quando arriverà l'elicottero sapranno dov'è. Ora l'obiettivo della nostra missione cambiava: fare in fretta per tornare da Karl. (Walter)

GIOVEDI' 17
Un dolore senza parole


Ci siamo alzati alle due di notte e messi in marcia alle 3.30 del mattino. Sembra una sciocchezza, ma ci vuole un'ora e mezza per fare acqua e preparare un tè. Dallo zaino di Karl abbiamo preso la sua macchina fotografica prima di partire. Il tempo era buono, abbiamo proceduto a zig zag. Faticosamente siamo saliti di 400 metri, ma alle tre è arrivato il brutto tempo. Ci siamo cercati un seracco idoneo per passare la notte, ai 6.800 metri più o meno. Tra il nevischio abbiamo piantato la tenda. In silenzio. Tutti e due eravamo molto a terra, ma cercavamo di non darlo a vedere l'uno all'altro. (Walter e Simon)

VENERDI' 18
Ghiaccio, pietre e paura


Ha nevicato tutta la notte. Vento e neve. La mattina siamo saltati fuori dalla tenda e scappati via. Arrivavano giù pietroni e ghiaccio che hanno piegato il telo. Un bello spavento davvero. La neve ci arrivava alla cintura, allora siamo saliti legati, a zig zag, con sci e pelli di foca, con pendenze fino ai 45˚. E' stata una giornata faticosissima per soli 120 metri di dislivello. Abbiamo montato la tenda e siamo crollati in un sonno profondo, stremati. (Walter e Simon)

SABATO 19
Telefono sceso dal cielo


Stamattina alle 7.30 ci hanno svegliati gli elicotteri. Non ci abbiamo fatto caso, erano lontani, pensavamo fossero per Karl. Sapevamo bene che non potevano aiutarci a quelle altitudini. Poi un elicottero ci ha buttato un sacco a 500 metri. Dieci minuti dopo un altro elicottero ha buttato un altro sacco, stavolta 150 metri a valle. Noi facevamo segno che andavamo in su, loro segno di andare in giù, forse per dirci dove era il sacco. Praticamente siamo scesi di tutti quei metri che faticosamente avevamo percorso il giorno prima per arrivare al pacchetto. Una faticaccia! (Walter)
L'ho aperto io il pacco. C'erano due bombole per il gas, cibo, un telefono satellitare e un bigliettino di Gnaro che ci diceva di tenere duro. Ho pensato che Gnaro stesse scalando il K2. Ci siamo portati via il telefono e il biglietto, cibo e gas li abbiamo lasciati per non appesantirci. Il telefono non prendeva. Siamo ripartiti. Ai 7.000 metri abbiamo scavato due ore nel ghiaccio per cercare di far stare la tenda in piano e l'abbiamo ancorata sopra gli sci. (Simon)

DOMENICA 20
Pronto, sono Walter


Il tempo è peggiorato. Abbiamo percorso un traverso di 400 metri, durissimo. Speravamo di arrivare alla sella, ma ci siamo fermati ai 7.300. C'è un po' di campo e chiamiamo il numero indicato in un sms: «Sono Walter Nones, mi hanno detto di chiamare qui». Dall'altro capo del mondo ha risposto Agostino Da Polenza. Siamo rimasti un po' sorpresi e gli abbiamo spiegato che era tutto ok, che saremmo scesi dalla Buhl. (Walter e Simon)

LUNEDI' 21
In tenda nella bufera


Ci siamo svegliati con una bufera micidiale, si vedeva a stento dove andare. Abbiamo girovagato fino alle 16, fino ai denti d'argento e montato la tenda ai 7.500 metri, nella bufera. Abbiamo parlato a lungo delle nostre donne. Le nostre imprese appartengono anche a loro, al loro coraggio di restarci accanto e capire le nostre passioni. Ad accettare il rischio che potremmo non tornare più. (Walter e Simon)

MARTEDI' 22
Pensiero fisso sull'incidente


Siamo partiti con una splendida giornata, ma dopo 200 metri di nuovo nebbia. Ci siamo fermati perché la nebbia non ci fa proseguire. Ci sono temporali, sembra di dormire accanto a una centrale elettrica. Siamo preoccupati per il tempo. Agostino ci ha detto che era in miglioramento, ma il cielo è troppo carico. Dormiamo quasi tutto il giorno. Karl ci manca. Ci manca il suo entusiasmo e la sua allegria. Le sue battute: «Chi mi dà il bacino della buonanotte?». Non abbiamo neppure più voglia di fare foto. Ancora non capiamo cosa sia successo. Era tutto normale, stavamo solo cercando un posto dove mettere la tenda. (Walter e Simon)

MERCOLEDI' 23
Con gli sci fino a 6400


Tutti ci avevano parlato di bel tempo. Invece c'è una nebbia micidiale. Decidiamo di fermarci, proseguire è troppo pericoloso. Agostino ci dice se possiamo chiamare due volte al giorno perché i media vogliono sapere. Non riusciamo a capire bene chi può essere interessato a noi. Nel pomeriggio c'è una schiarita. Smontiamo le tende e scendiamo con gli sci fino ai 6.400. La tenda è praticamente distrutta, sta in piedi solo da un lato. Per risparmiare peso avevamo solo un telo. (Walter e Simon)

GIOVEDI' 24
Elicotteri non richiesti


Decidiamo di non fare la Buhl: con la neve fresca significava valanghe. Tiriamo una linea dritta e arriviamo ai 5.200. Gnaro ci manda gli elicotteri, che ci fanno arrivare al campo base un giorno prima del previsto. Noi volevamo andare da Karl, ma ci ripetono che è impossibile. Volevamo restare al campo base a recuperare la nostra roba, ma ci portano a Gilgit, dove i giornalisti non fanno che chiederci chi pagherà i soccorsi. Ma l'intervento ha anticipato solo di un giorno il rientro al campo base che avremmo completato da soli. Comincia qui il nostro calvario mediatico. Non avevamo capito il casino che era scoppiato in Italia. L'avessimo saputo non avremmo telefonato da lassù. (Walter e Simon)

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Re: IL DIARIO DELLA TRAGICA SPEDIZIONE SUL NANGA PARBAT

Messaggiodi patrix78 il 07 ago 2008, 18:40

come tutti gli sport estremi è bello, intrigante e maledettamente pericoloso...
mi fa piacere che almeno in 2 siano tornati, ma non era meglio restare a casa ed essere vivi in 3??? :?
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