Perchè alla fine gli evasori la fanno franca

bbiamo già evidenziato come, nonostante un netto miglioramento rispetto agli anni passati, le percentuali del riscosso rispetto all’accertato siano ancora molto basse.
Abbiamo anche evidenziato come il problema sia a monte, in un sistema agenziale che necessita di essere riformato e soprattutto in un sistema di giustizia fiscale che ancora non assicura un processo tributario all’altezza del suo ruolo.
Per capire meglio come chi evade alla fine non paghi basta rilevare come esistono spesso casi in cui si discute del merito della debenza dell’imposta evasa, solo di cavilli giuridici. Dietro tali fattispecie, spesso, si nascondono casi di evasione da riscossione, o comunque di tentativi in tal senso.
Per comprendere ciò di cui stiamo parlando, è opportuno partire da un esempio. La società Alfa Srl, a ristretta base azionaria e familiare, viene costituita nel 2001. Nel 2002, però è già in liquidazione. A fine 2003 comincia una verifica dell’Amministrazione Finanziaria nei suoi confronti. Tale verifica si conclude ad inizio 2004 e porta a recuperi di imposta per diversi milioni di euro per operazioni inesistenti. Dopo pochi giorni dalla chiusura della verifica il liquidatore della società, uno dei due soci, si “trasferisce” all’estero. Il liquidatore che gli subentra provvede dunque alla cessazione della società e alla sua cancellazione dal registro delle imprese. Pochi giorni dopo tale cessazione e cancellazione viene notificato l’atto di contestazione sia alla società (cessata), sia al liquidatore, sia al socio (trasferito all’estero), sia all’altro socio (ancora in Italia). Solo quest’ultimo impugna l’atto di accertamento e si limita ad eccepire che egli non può essere considerato responsabile per le obbligazioni relative a rapporti fiscali propri di una società di capitali, la quale, rispetto a lui, è un altro soggetto giuridico.
E’ il bello è che è ha anche ragione. Peccato però che la società, responsabile per le violazioni fiscali commesse, alla data di notifica dell’atto di accertamento non esisteva più in quanto cancellata.
A ben vedere allora, il problema è sapere se la società poteva essere cancellata, o se piuttosto un tale comportamento non rappresenti solo un modo per evitare di pagare quanto dovuto.
E’ chiaro che sottese ad una tale domanda ci sono molte sottili questioni giuridiche che non possono essere affrontate in questa sede, ma “andando al sodo”, nel caso sopra ipotizzato, non essendo stato presentato ricorso dalla società (società che nel frattempo non si era estinta, dato che la cancellazione non poteva avvenire, vantando ancora l’Amministrazione Finanziaria un credito nei suoi confronti), si potrebbe procedere direttamente allora all’iscrizione a ruolo verso la stessa società.
Questa sarebbe infatti la condizione necessaria affinché si possa poi notificare al liquidatore apposita cartella di pagamento, per la propria autonoma obbligazione causata dalla illecita cancellazione della società.
Ma saremmo nuovamente al punto di partenza, perché allora sicuramente il liquidatore impugnerà la cartella.
Pur essendo l’ipotesi sopra evidenziata necessariamente semplificata risulta comunque evidente che, purtroppo, non basta scovare gli evasori (quelli veri). Infatti, dopo averi scovati, bisogna poi fare un buon accertamento. Farlo nei termini e nei modi corretti, rispettando tutti gli adempimenti burocratici. Affrontare il contenzioso, non incappando nelle relative decadenze e superando le tante eccezioni sollevate dai difensori (che del resto fanno il loro lavoro).
Vincere in primo grado. Vincere in secondo grado. Vincere in Cassazione (e tutto questo naturalmente ha un costo). E sperare che, nel frattempo, dopo anni, il contribuente/evasore abbia ancora qualcosa su cui l’Amministrazione si possa rivalere.
E la giostra riparte.
Abbiamo anche evidenziato come il problema sia a monte, in un sistema agenziale che necessita di essere riformato e soprattutto in un sistema di giustizia fiscale che ancora non assicura un processo tributario all’altezza del suo ruolo.
Per capire meglio come chi evade alla fine non paghi basta rilevare come esistono spesso casi in cui si discute del merito della debenza dell’imposta evasa, solo di cavilli giuridici. Dietro tali fattispecie, spesso, si nascondono casi di evasione da riscossione, o comunque di tentativi in tal senso.
Per comprendere ciò di cui stiamo parlando, è opportuno partire da un esempio. La società Alfa Srl, a ristretta base azionaria e familiare, viene costituita nel 2001. Nel 2002, però è già in liquidazione. A fine 2003 comincia una verifica dell’Amministrazione Finanziaria nei suoi confronti. Tale verifica si conclude ad inizio 2004 e porta a recuperi di imposta per diversi milioni di euro per operazioni inesistenti. Dopo pochi giorni dalla chiusura della verifica il liquidatore della società, uno dei due soci, si “trasferisce” all’estero. Il liquidatore che gli subentra provvede dunque alla cessazione della società e alla sua cancellazione dal registro delle imprese. Pochi giorni dopo tale cessazione e cancellazione viene notificato l’atto di contestazione sia alla società (cessata), sia al liquidatore, sia al socio (trasferito all’estero), sia all’altro socio (ancora in Italia). Solo quest’ultimo impugna l’atto di accertamento e si limita ad eccepire che egli non può essere considerato responsabile per le obbligazioni relative a rapporti fiscali propri di una società di capitali, la quale, rispetto a lui, è un altro soggetto giuridico.
E’ il bello è che è ha anche ragione. Peccato però che la società, responsabile per le violazioni fiscali commesse, alla data di notifica dell’atto di accertamento non esisteva più in quanto cancellata.
A ben vedere allora, il problema è sapere se la società poteva essere cancellata, o se piuttosto un tale comportamento non rappresenti solo un modo per evitare di pagare quanto dovuto.
E’ chiaro che sottese ad una tale domanda ci sono molte sottili questioni giuridiche che non possono essere affrontate in questa sede, ma “andando al sodo”, nel caso sopra ipotizzato, non essendo stato presentato ricorso dalla società (società che nel frattempo non si era estinta, dato che la cancellazione non poteva avvenire, vantando ancora l’Amministrazione Finanziaria un credito nei suoi confronti), si potrebbe procedere direttamente allora all’iscrizione a ruolo verso la stessa società.
Questa sarebbe infatti la condizione necessaria affinché si possa poi notificare al liquidatore apposita cartella di pagamento, per la propria autonoma obbligazione causata dalla illecita cancellazione della società.
Ma saremmo nuovamente al punto di partenza, perché allora sicuramente il liquidatore impugnerà la cartella.
Pur essendo l’ipotesi sopra evidenziata necessariamente semplificata risulta comunque evidente che, purtroppo, non basta scovare gli evasori (quelli veri). Infatti, dopo averi scovati, bisogna poi fare un buon accertamento. Farlo nei termini e nei modi corretti, rispettando tutti gli adempimenti burocratici. Affrontare il contenzioso, non incappando nelle relative decadenze e superando le tante eccezioni sollevate dai difensori (che del resto fanno il loro lavoro).
Vincere in primo grado. Vincere in secondo grado. Vincere in Cassazione (e tutto questo naturalmente ha un costo). E sperare che, nel frattempo, dopo anni, il contribuente/evasore abbia ancora qualcosa su cui l’Amministrazione si possa rivalere.
E la giostra riparte.