Dal momento che questo sito si occupa di prevalentemente di osservazione visuale, sarà opportuno spendere qualche parola sul funzionamento dell'occhio umano, cosa che a grandi linee è nota a tutti.
L' occhio è un sistema diottrico centrato costituito da diversi elementi rifrangenti che nell'ordine sono:
cornea
umor acqueo
cristallino
umor vitreo
La cornea è una sottile pellicola trasparente che chiude anteriormente l'occhio ed è foggiata a calotta sferica (almeno nell'occhio normale o emmetrope). Se anziché questa forma ne avesse una diversa - fosse ad esempio un ellissoide - vi subentrerebbe il fastidioso difetto dell'astigmatismo.
L'umor acqueo, come dice la parola, è un liquido salino interposto tra la cornea e il cristallino e ha lo scopo, mediante una lieve pressione sulla parete interna della cornea, di mantenerne la forma.
Il cristallino funziona come una lente biconvessa con curvature differenti ed è costituito da diversi strati sovrapposti a guisa di cipolla; purtroppo tende a opacizzarsi con l'età o tramite agenti ionizzanti come un intenso irraggiamento ultravioletto e quandol'opacizzazione è tale da compromettere una visione distinta degli oggetti (cataratta) se ne rende necessaria la rimozione. Il cristallino è connesso all'interno dell'occhio da fibre muscolari che gli permettono di variarne la curvatura di modo da far cadere costantemente sulla retina il piano focale dell'immagine (accomodamento del cristallino).
L'umor vitreo, infine, è una sostanza gelatinosa che riempie totalmente l'occhio di modo da mantenergli la sua forma sferica.
Tutti e 4 questi elementi, deputati a far convergere sulla retina i raggi luminosi, hanno un indice di rifrazione simile a quello dell'acqua salata. Questo è il motivo per cui la visione subacquea è così confusa: immergendo infatti l'occhio in un mezzo che ha più o meno lo stesso indice di rifrazione, i raggi luminosi non deviano e quindi non possono focalizzare!
La retina è giustamente ritenuta la parte più importante dell'organo visivo. Essa tappezza interiormente tutto l'occhio ed è una struttura assai complessa. A noi interessa la parte posteriore dove si addensano i fotoricettori, ossia i coni, attivati in visione diurna, e i bastoncelli, più grandi, e maggiormente sensibili alla luce grazie a un pigmento particolare che li ricopre chiamato rodopsina o porpora retinica che si forma a bassissimi livelli d'illuminazione; sono quindi impiegati nella visione notturna, ma, a differenza dei coni, non sono sensibili ai colori (vedi nota). La rodopsina viene distrutta velocemente dalla luce intensa, ma si riforma immediatamente non appena questa cessa. Questo fatto, che non altro che l'adattamento all'oscurità che tutti conoscono, è molto importante anche quando ci si trova sul campo; evitiamo, cioè, non solo le fastidiose luci bianche di torce poco schermate, ma anche di osservare il crescente lunare (che pure è molto meno intenso della luna piena) e pretendere di vedere subito dopo un galassia debole. L'adattamento all'oscurità dipende, ovviamente, dall'intensità luminosa cui siamo stati sottoposti: è già buona dopo un quarto d'ora, ma per raggiungere il massimo adattamento al buio conviene aspettare un paio d'ore.
Osservando l' interno dell'occhio si nota una piccola zona chiamata macula lutea o fovea centralis in cui i coni sono particolarmente addensati: è la zona preposta alla visione distinta e dove è quindi massima l'acuità visiva. In altri termini, quando fissiamo un oggetto facciamo automaticamente cadere l'immagine sulla fovea. Al di fuori di questa l'acuità visiva diminuisce drasticamente: a soli 10 gradi di distanza dall'asse visivo è già il 25% in meno!
È altresì importante notare il punto dove il nervo ottico si annette alla retina: questa zona, chiamata punto cieco, è completamente insensibile alla luce e di questo dobbiamo tenerne conto quando impieghiamo la visione distolta nell'osservazione di oggetti deboli.
Un'altra parte importante dell'occhio è la coroide (vedi schema), un tessuto scuro ricco di melanina che avvolge esteriormente la retina e che ha la funzione di assorbire la luce che filtrando, appunto, attraverso la retina potrebbe causare una perdita di contrasto delle immagini. È un po' lo stesso motivo per cui l'interno dei telescopi si dipinge di nero. La coroide quando arriva verso la parte anteriore dell'occhio si flette all'indietro andando a costituire un tramezzo, l'iride, nel cui foro centrale, la pupilla, passa la luce.
Non possiamo negare che l'occhio umano abbia alcuni pregi notevoli.
Innanzitutto dobbiamo considerare la risposta agli stimoli luminosi che è di tipo logaritmico; ciò significa che siamo in grado di percepire sia il bagliore di una folgore, sia la luce tremolante di una stella. Se così non fosse, se cioè la risposta del nostro occhio fosse di tipo lineare saremmo completamente ciechi al di sotto di un certo livello d'illuminazione o costantemente abbagliati in presenza di luci molto forti, con la conseguente incapacità di poter svolgere la stragrande maggioranza delle nostre attività quotidiane.
Un altro grande pregio dell'occhio è quello di autoregolare la messa a fuoco, cosa che avviene tramite il processo di accomodazione del cristallino; in tal modo non dobbiamo fare alcuna fatica a vedere distintamente una stella e subito dopo consultare una cartina celeste.
Altro pregio è la diaframmatura automatica della pupilla che regola la quantità di luce che arriva alla retina: la pupilla, infatti, si dilata al valore massimo di circa 7 millimetri quando l'ambiente è scuro e si restringe a meno di un millimetro in presenza di panorami fortemente illuminati.
Purtroppo questi 3 pregi sono compensati da altrettanti difetti:
1) Aberrazione sferica
Quando la pupilla è dilatata al massimo, la visione perde contrasto e l'acuità visiva di conseguenza diminuisce; potete sperimentarlo sulla celebre Epsilon Lyrae: probabilmente non riuscirete a sdoppiarla fissandola direttamente, mentre è abbastanza semplice intuirne la duplicità osservandola attraverso un cartoncino nero con due piccoli fori del diametro di un paio di millimetri sistemati a distanza interpupillare.
2) Piccolissimo campo di visione distinta
Fissate la vostra attenzione su una parola qualunque di questa pagina: v'accorgerete che le quelle immediatamente precedente e successiva appaiono poco chiare. Ciò è imputabile alla dimensione estremamente ridotta della fovea ove si addensano i coni la quale fa sì che il campo di buona definizione sia ridotto praticamente a un punto. Si può determinare sperimentalmente che l'acuità visiva a soli 10 gradi dalla fovea è già diminuita di 1/4, mentre è ridotta a sì e no il 3% a 40 gradi dal punto di fissazione!
3) Limitatezza del potere risolutivo
Secondo la nota formula del limite di Dawes sul potere risolutivo, se noi dividiamo il numero 120 (una costante) per 7 (diametro massimo della pupilla) otteniamo il valore di 17 secondi d'arco che dovrebbe essere il potere separatore dell'occhio. Tuttavia l'occhio è in grado di distinguere due punti vicini solo se questi sottendono un arco di almeno un primo e comunque in un ambiente ben illuminato. La causa di questo va ricercata nella struttura retinica che è schematicamente rappresentabile come un favo: dalla figura si vede che se due stimoli luminosi colpiscono due cellette contigue (a sinistra) il cervello li interpreta come unico segnale; nel secondo caso, invece, la la presenza di una celletta non eccitata avverte il cervello che gli stimoli luminosi sono effettivamente due. Il potere risolutivo dell'occhio è quindi determinato dalla dimensione delle celle: se queste sono di circa 5 micron e se la focale del sistema cornea + cristallino è di 15 millimetri l'angolo sotteso da una celletta è di circa 60 secondi.
[bisogna calcolare l'arcotangente di 0.005 / 15].
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NOTA — non è difficile rendersi conto di questo fatto quando siamo, ad esempio, sul campo a fare osservazioni: dopo esserci ben adattatti all'oscurità, ci accorgeremo che siamo in grado di vedere tutti gli oggetti che stanno intorno a noi, i telescopi, le macchine, gli alberi; senonché li vediamo tutti in bianco e nero — torna al punto di prima