Il giorno che Giovanni Roccotelli detto Cocò inventò la «Rabona», al «Cino e Lillo del Duca» di Ascoli faceva freddo, il cielo era coperto, il terreno era in buone condizioni e tra i 15.394 spettatori non ce ne fu uno - dico uno - che si accorse che quel giorno si stava facendo la Storia. La partita è Ascoli-Genoa, campionato di serie B,22 gennaio del ‘78, anni di piombo, tempi cupi, nuvole grigie e lampi nel temporale per tipi come il nostro, talento da basso Basso Impero nato a Bari, «self made ala», uno talmente ardito da darsi - lui medesimo, undicenne senza il baffo - il soprannome, sull’onda musicale del Vavà-Didì-Pelè ecco dunque Cocò. Il colpo, la «Rabona», è un colpo di coda, letteralmente «rabo» in spagnolo, coda appunto, un bizantino gioco di gambe partorito da pigrizia sonnolenta, come le codate che dà la mucca infastidita dalle mosche. Così Cocò, che quel giorno di fine gennaio supera in velocità il terzino Polentes - ci sarà un destino anche nei nomi? - e se ne va sulla fascia sinistra, come fa da una vita, come se la vita quello gli facesse fare: andare, crossare, tornare, timbrare cartellini e partite. Poi il guizzo del guitto. Il piede destro che aggira il ginocchio sinistro e così - da dietro, di sguincio, di sorpresa - calcia il pallone, incrociando le gambe, incrociando per un attimo una «second life» dove i campi sono verdi, i cieli azzurri e riesce tutto esentasse, persino l’impensabile. Segnò Ambu, di testa, manco perse tempo a ringraziare Cocò, ma chissenefrega, la riconoscenza non è di questo mondo. La «Rabona» apparve e sparì, come l’utopia di un operaio pallonaro, visse anni di tackle assassini e contestazioni, poi tornò per opera divina e fu resa immortale da Diego Armando Maradona: si chiama evoluzione della specie.