MILANO - La cultura del lavoro, e la sua etica. Il senso di appartenenza al gruppo, la squadra che è tutto. L'allenamento prima d'ogni cosa, la cura maniacale dei particolari, le pettorine di tre colori diversi per addestrare i riflessi. L'ordine tattico, la disciplina, la professionalità. E il cercare la vittoria giocando bello ed elegante, perché il pubblico lo vuole. Erano, e sono, i precetti di Arrigo Sacchi. Che ha smesso di allenare per eccesso di stress, ma può essere soddisfatto guardando le panchine di mezza Europa: l'eredità è ancora viva e pulsante, perché sono tanti i suoi ragazzi di un tempo che si sono ispirati a lui, smussandone qualche spigolo e applicando personali variazioni sul tema.
Ma le idee guida, il pressing, il gusto per lo spettacolo e anche la linea difensiva tenuta ben alta sono eredità dell'Arrigo, che con il suo avvento al Milan, nel 1987, cambiò il calcio: ancora oggi chiedi in giro per il mondo e la gente ricorda bene quella squadra. Da noi fu una rivoluzione copernicana: improvvisamente, un'italiana andava in giro per l'Europa a imporre il suo gioco e addirittura vinceva, roba da matti. Lo odiarono in tanti, l'Arrigo, forse perché in tanti, tra gli allenatori e perché no, anche tra i giornalisti, furono costretti ad aggiornarsi, a studiare, a informarsi.
Quel periodo è stato incancellabile, perché ha lasciato tracce visibili. Prendete la foto della sera di Barcellona, 24 maggio 1989, Milan-Steaua 4-0 e rossoneri campioni d'Europa. Hanno tutti smesso di giocare, tranne Paolo Maldini che chiuderà a giugno, all'alba dei quarant'anni. Gli altri, quasi tutti allenatori. A cominciare dall'insospettabile Marco Van Basten che con Sacchi ebbe un rapporto più che conflittuale: "Mister, ma perché mi tratta come gli altri? Lei lo sa che non sono come loro", implorava il Cigno all'ennesima sfiancante esercitazione tattica che a lui non interessava, tanto doveva solo buttarla dentro, pensava.
Tra i due finì a parolacce, e ognuno rimase della sua opinione. Ma adesso il Van Basten ct dell'Olanda (l'altra sera 3-0 in Croazia) è un tecnico che punta sull'ordine tattico, sulla disciplina e sui giocatori più in forma, al punto che non si fa problemi nel mandare in panchina, se è il caso, uno come Van Nistelrooy.
Carlo Ancelotti, invece, era l'allenatore in campo di quel Milan e fu il primo discepolo a seguire il maestro: fu il suo vice in Nazionale ai Mondiali del '94, poi si mise in proprio, ma non ha mai smesso di considerare Sacchi un punto di riferimento, oltre a Liedholm.
Altro "prodotto" sacchiano è Roberto Donadoni, che comunque dice di essersi ispirato anche a Capello e Parreira: shakerando il tutto eccolo lì, ct azzurro sempre più convincente. Frank Rijkaard ha evocato spesso il maestro e il suo lavoro alla nazionale olandese e poi al Barcellona lo testimonia. Ruud Gullit ha faticato di più e dopo infelici esperienze inglesi ora ci riprova ai Los Angeles Galaxy, ma sempre allenatore è. Mauro Tassotti è il silenzioso vice di Ancelotti al Milan dal 2001, dando un contributo fondamentale e ben conosciuto dall'ambiente rossonero; Billy Costacurta è sulla stessa strada, ha iniziato la carriera di tecnico al Milan e proseguirà, come del resto stanno facendo con ottimi risultati, nelle giovanili di Milanello, Filippo Galli e Chicco Evani, mentre per ora meno fortunati sono stati i tentativi di Franco Baresi e Angelo Colombo.
L'unico a cui la panchina non piace è Paolo Maldini: "Non ci penso proprio a diventare allenatore, non mi interessa", ha detto più volte.