A dispetto dell'orgoglio mostrato in Champions, il declino della squadra di Ancelotti è sotto gli occhi di tutti: anche dei suoi dirigenti?
Carlo Ancelotti: con un Milan vecchio e stanco sta cercando di fare i miracoli.Lunedì, 12 Marzo 2007
Se Brigitte Bardot fosse italiana, dopo la campagna contro lo sterminio delle balene si starebbe dedicando, anima e corpo, a un’altra iniziativa di tipo umanitario: la campagna contro la demolizione del Milan. La demolizione del Milan è un fenomeno - apparentemente inspiegabile – in atto da 652 giorni, per l’esattezza dalla sera del 25 maggio 2005, sera in cui si giocò, a Istanbul, la finale di Champions League tra Milan e Liverpool. Come molti ricorderanno, fu la più incredibile finale giocata dal giorno dell’invenzione del pallone: il più bel Milan di sempre chiuse il primo tempo sul 3-0 (Maldini, Crespo, Crespo), pensò di avercela fatta, tornò in campo distratto, si fece fare 3 gol in 7 minuti, riprovò a prendere in mano la partita ma la palla non volle più saperne di entrare nella porta di Dudek. Così, si andò ai calci di rigore, gli inglesi furono più bravi e la Coppa finì in Inghilterra. Per la cronaca: il Milan aveva vinto la Champions due anni prima, a Manchester, ai rigori contro la Juventus, ma non aveva giocato bene, e non era sembrato forte come il Milan targato 2004-2005: quello, appunto, della notte folle di Istanbul.
Ebbene: dal 25 maggio 2005, una specie di 5 maggio moltiplicata per 5 (tornano anche i conti!), il Milan di Carlo Ancelotti – un vero e proprio inno al calcio con la formula magica di un centrocampo composto da Gattuso, Pirlo, Seedorf e Kakà, due esterni di difesa come Cafu e Maldini, un bomber insaziabile, e infallibile, come Shevchenko – è andato via via sbriciolandosi. Quel Milan, che si permetteva il lusso di tenere Rui Costa in panchina e di mandare in tribuna, il giorno della finale, un certo Inzaghi, perché in campo andavano Shevchenko e Crespo (2 gol) e in panchina bastava Tomasson; quel Milan che sfiorò, senza toccarla, la Perfezione (nel primo tempo di Istanbul, Kakà giocò come nemmeno Rivera e Cruijff fusi assieme in laboratorio); quel Milan, nei 652 giorni che si sono susseguiti, è diventato ben presto la controfigura di se stesso. E adesso, inseguendo una gloria ormai appassita, si dibatte disperatamente alla ricerca di un’identità perduta, in una partita persa in partenza.
Diciamo le cose come stanno. Il Milan sta arrancando perchè i giocatori di oggi sono più vecchi, più stanchi e più scarsi di quelli che lo fecero grande nel periodo d’oro di Ancelotti: il ciclo, breve ma intenso, iniziato il 28 maggio 2003 all’Old Trafford di Manchester e concluso il 25 maggio 2005 allo stadio Ataturk di Istanbul col bottino di una Champions League, uno scudetto, una Supercoppa Europea e una Coppa Italia, più una Coppa Intercontinentale e una seconda Champions buttate via.
Più vecchi, più stanchi, più scarsi. Con tutto il rispetto per giocatori – anzi, campioni – che hanno fatto la storia del calcio, la verità sul conto del Milan è questa. Un Milan che annovera oggi tra le sue fila Costacurta, 40 anni e 11 mesi; Maldini, 38 anni e 9 mesi; Cafu, 36 anni e 9 mesi; Serginho, 35 anni e 9 mesi; Favalli 35 anni e 3 mesi, per non parlare di nonno Fiori e dei molti altri over 30. Un Milan che nell’ultima campagna-acquisti ha pensato di rafforzarsi puntando sul 35enne Favalli, sul quasi 31enne Oddo, sul 30enne Storari; e ancora Oliveira (sic), e poi Bonera e Gourcuff (praticamente ignorato da Ancelotti), e infine Ronaldo (ma il Fenomeno merita un discorso a parte). Un Milan che ha appena annunciato i rinnovi di contratto del 31enne Seedorf (fino al 2011), del 34enne Kalac (fino al 2010) e del 33enne Dida (fino al 2010), giocatori che hanno abbondantemente dato il meglio di sè e che già oggi, anzi già ieri, apparivano in chiara fase discendente.
Se a questo aggiungete il fatto che Shevchenko, l’estate scorsa, è stato ceduto al Chelsea per 45 milioni (di cui metà buttati per acquistare Oliveira, che vale meno di Pozzi dell’Empoli); che Gilardino e Inzaghi, lontano da Sheva, hanno subìto un processo di “imbrocchimento” imprevisto ma evidente; che Kakà, unico fuoriclasse nello splendore della carriera, è costretto una partita sì e l’altra pure a provare a vincere, da solo, ogni match, Ascoli o Celtic non ha importanza; che i grandi vecchi – vedi Cafu, vedi Serginho, vedi Maldini - hanno smesso di essere i formidabili campioni di sempre, e ormai mostrano la corda di una carriera giunta al capolinea; se al quadro aggiungete queste pennellate, otterrete il Milan che abbiamo davanti agli occhi. Il Milan che una Roma in palla travolge come un birillo, a San Siro come all’Olimpico; il Milan che deve penare 210 minuti contro un modestissimo Celtic aspettando il prodigio del solo uomo capace di compiere i miracoli (per l’appunto, Kakà); il Milan che prova, con le unghie e coi denti, a vincere il derby – o almeno, a fare bella figura -, ma che alla fine viene demolito a spallate da un’Inter più forte, più giovane, più dirompente, più cattiva. Il Milan che dopo 27 giornate naviga a 33 punti di distacco dall’Inter prima in classifica. Forse è veramente il caso di farlo stendere sul lettino e fargli dire 33!
Sia chiaro: nessuno discute il fatto che il Milan, unico club in Europa, sia giunto ai quarti di finale di Champions per il 5° anno consecutivo; nessuno discute la grandezza di un club che nel torneo più difficile e prestigioso arriva due volte in finale (una vittoria e una sconfitta) e una volta in semifinale nelle ultime 5 edizioni; nessuno discute l’importanza di vedere il Milan unico sopravvissuto in Champions fra gli 8 club approdati ai quarti un anno fa. Quello che il Milan sta facendo, a dispetto degli anni, degli acciacchi e dei guai, è una cosa grande, e nessuno lo può disconoscere.
È giusto però chiedere ai dirigenti, e cioè a Galliani e Braida (o forse bisogna girare la domanda a Berlusconi?) se la strada che il Milan ha imboccato dopo la notte di Istanbul è la strada giusta oppure no. Perché a noi – anche se Ancelotti riuscisse nell’impresa di far fuori il Bayern e di saltare un’altra volta in semifinale – la strada su cui cammina il Milan sembra, davvero, un vicolo cieco.
P.Ziliani