Tutti liberi, o quasi. Ecco cosa succede agli ultra arrestati dalle Forze dell'ordine. Loro, ipoliziotti e i carabinieri, gli mettono le manette ai polsi per gli scontri, le violenze e la detenzione di armi improprie; gli altri, i giudici, li scarcerano al massimo dopo una settimana. Con buona pace della linea dura annunciata dal governo.
Dei 406 tifosi arrestati nel corso degli ultimi quattro campionati (2003/2004; 2004/2005; 2005/2006; 2006/2007), «in galera per l'esecuzione di pena non c'è nessuno», attacca Filippo Saltamartini, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (Sap). Colpa della nostra legislazione, spiega, che per quel tipo di reati «non prevede la sanzione del carcere». Sono fuori, in questo modo, non solo i dieci ultra arrestati a Milano per gli incidenti di domenica scorsa, ma anche il catanese indagato per la morte di Filippo Raciti e gli ultras di Ancona e Lazio fermati ad ottobre per possesso di mazze, coltelli e machete. Ultimi ad evitare la galera, gli ultra del Brindisi finiti in manette domenica scorsa per resistenza e violenza a pubblico ufficiale.
«Il fatto è che il più delle volte si tratta di reati contravvenzionali per i quali non è prevista la carcerazione», ribadisce Saltamartini. In realtà, aggiunge il numero uno del Sap, a favore degli arrestati gioca la combinazione di due fattori: la bassa sanzione per una certa tipologia di reati e la struttura «del nostro sistema, secondo il quale la pena va eseguita solo dopo la sentenza definitiva». Il che vuol dire, in media, aspettare quindici anni prima di arrivare alla fine dell'intero procedimento. Solo allora «chi è stato condannato può essere tradotto in carcere a scontare la pena». A una condizione, però: «Che la sanzione irrogata sia superiore ai tre anni di reclusione». In caso contrario basta essere incensurati, e invocare le attenuanti generiche, per evitare la galera.
Per Saltamartini «il 95% dei procedimenti a carico degli ultra «si chiude dopo 48 ore, in sede di convalida dell'arresto. Con i fermati rimessi in libertà dal giudice. Per il restante 5%, invece, va in scena il processo per direttissima, dove però la sentenza non è eseguibile se la colpevolezza non è confermata dall'ultimo grado di giudizio». E a nulla porterà, scommettono gli uomini in divisa, la novità di imputare agli ultras accusati delle devastazioni dello scorso fine settimana anche l'aggravante della finalità di terrorismo. Per i sindacati di polizia, infatti, si tratta di un'accusa facilmente smontabile davanti al magistrato. Niente di nuovo sotto il sole, però, visto che perfino l'autore di una rapina a mano armata, incalza Saltamartini, «se è incensurato, paga i danni e orttiene il giudizio con rito abbreviato, se la può cavare con quattro anni e mezzo di reclusione».
Le cronache, del resto, sono piene di notizie relative alle scarcerazioni degli ultra. Il 23 luglio scorso il tribunale dei minorenni di Catania ha fatto uscire Antonio Speziale, il diciottenne indagato per l'omicidio dell'ispettore di polizia Filippo Raciti. A febbraio, in precedenza, erano usciti di galera sei dei sette arrestati maggiorenni. Motivo: erano incensurati. Ad ottobre è stato lo stesso Giuliano Amato, ministro dell'Interno, a lamentarsi della decisione della magistratura di scarcerare 61 dei 66 ultras laziali trovati con coltelli e machete negli zaini prima della trasferta di Bergamo. Lo stesso è accaduto, il 5 ottobre, per tre tifosi dell'Ancona sorpresi ad aspettare i sostenitori del Perugia con bastoni, tira-pugni d'acciaio e un coltello a serramanico con lama lunga dieci centimetri. Tutti fuori dopo una notte in cella perché il decreto anti-violenza Amato-Melandri non prevede come obbligatoria la custodia cautelare in
carcere.