MILANO, 27 febbraio 2008 - Nell'attesa di conoscere quale sarà il suo futuro, se rimanere a Milano oppure uscire dal contratto per tentare la strada della Nba, Danilo Gallinari si racconta in un'intervista in edicola sul numero di marzo di "GQ".
PADRE E FIGLIO - Suo padre Vittorio vinse tutto con la grande Milano anni '80, lui per ora nulla . "Lui era il Materazzi dell’epoca, io sono Kakà. Secondo lui loro erano più bravi di noi. Balle. Avremmo vinto a mani basse. Il livello generale del basket oggi s’è innalzato di molto. Lo ripeto, perché ne sono convinto: la pallacanestro s’è talmente evoluta che la mia Armani Jeans batterebbe la Tracer di vent’anni fa. Comunque a mio padre do poche chance per criticarmi. Finora il nome Gallinari non mi è mai pesato, ma è chiaro che in una carriera italiana o europea non potrei mai nemmeno avvicinarmi a quello che ha vinto mio padre. Quindi, l’unico modo per togliermi soddisfazioni che lui non ha potuto prendersi ed evitare confronti è andare giocare in America. Ai suoi tempi puntare all’Nba era addirittura inimmaginabile".
CENTRO DELL'ATTENZIONE - In poco tempo è diventato un personaggio: "Questo interesse che improvvisamente mi sta gravitando attorno l’interpreto solo come una conseguenza delle mie qualità e perciò per ora mi gratifica e basta. Testimonia che qualcosa di buono lo sto combinando. Se non riuscirò a reggere l’urto psicologico, vorrà dire che non ho l’adeguata forza morale e, allora, meriterò il fallimento. E' una sorta di selezione della specie".
DANILO E GLI USA - "Non poso per aprirmi un futuro in America: a me la Nba non piace neanche poi così tanto. Ma sì, il basket vero si gioca in Europa. Là è soltanto uno contro uno, non c’è furbizia, non c’è intelligenza tattica, zero schemi. Se salti di più arrivi prima, se salti di meno arrivi dopo. E siccome io non salto un c..., non arriverò mai". Se le cose continuano ad andar bene è un’eventualità che merita di essere ponderata per bene. Però vado in controtendenza e, sebbene sia il sogno di praticamente tutti i giocatori, io non subisco il fascino del basket Usa. E neppure quello degli Stati Uniti in sé: non sopporto l’arroganza di un Paese che è convinto di essere il numero uno in tutti i settori, quando invece è lampante che spesso il meglio è altrove. Non posso comunque ignorare che se qui si guadagna uno, là si guadagna dieci. Né che si vive una volta sola e certe occasioni si deve acchiapparle al volo”.