uno, nessuno e centomila
Inviato: 17 feb 2011, 11:20
“Uno, nessuno e centomila”, titolo di una indimenticabile opera di Pirandello, che ben si addice a Leonardo Nascimento De Araujo, attuale tecnico dell’Inter. Per chi non l’avesse riconosciuto è lo stesso uomo che l’anno scorso sedeva sulla panchina del Milan, lo stesso uomo che ha indossato gloriosamente la maglia rossonera per cinque stagioni, lo stesso uomo che trascinava il diavolo allo scudetto del 1999…lo stesso uomo?
La domanda è lecita, perché è difficile riconoscere nell’attuale coach nerazzuro quel giocatore, quel dirigente, quell’allenatore che i tifosi del diavolo hanno imparato ad amare, ad apprezzare, a stimare, ad osannare in alcuni momenti, al di là del suo apporto alla causa rossonera, ma anche solo per quelle doti umane che ne hanno fatto per lungo, lunghissimo tempo, un simbolo dello “Stile Milan”. Leo sembra cambiato: più aggressivo, meno accomodante, a volte indisponente, sempre pronto ad alzare i toni. Una metamorfosi inaspettata, si infuria con i giornalisti in conferenza, si “scorna” con i commentatori nel dopopartita, si scaglia contro le critiche, sbatte la porta e se ne va.
Un uomo mille miglia distante da quella persona pacata, sempre sorridente, capace di accettare le critiche, di farne tesoro e di replicare con garbo e stile sempre impeccabile. La conferenza stampa che ha anticipato la sfida alla Fiorentina ci ha regalato un Leonardo con un accento “portoghese” molto più accentuato, con un sorriso strano, con delle affermazioni che non sembrano far parte del suo bagaglio personale.
Saranno state le telefonate fitte con il suo predecessore quando è arrivato alla corte di Moratti (non quel Benitez che ha rappresentato una parentesi tanto breve quanto tribolata nella storia nerazzurra), sarà la squadra che ha bisogno di un uomo con un carattere del genere per rendere al meglio, sarà un dictat societario, o forse sarà semplicemente l’aria di Appiano Gentile, ma questo Leonardo è sempre più simile a Josè Mourinho.
Leo che si alza e se ne va sbattendo la porta dopo un conferenza stampa in cui il tono di voce ha toccato frequenze mai sentite prima, che cerca il “litigio” con Mario Sconcerti nel post Juve-Inter, che non si presenta di fronte ai microfoni nel post Fiorentina mandandoci Giuseppe Baresi, che prende delle scelte che non sembrano portare la sua firma. Quante volte lo scorso anno lo abbiamo ascoltato, afono, accettare di buon grado critiche, anche pesanti, al suo gioco, alle sue scelte, ad una squadra che non riusciva ad essere incisiva come avrebbe voluto, quante volte, da dirigente, si presentava di fronte ai microfoni senza essere obbligato, per raccogliere le critiche e difendere la squadra.
Sembra quasi che il tecnico brasiliano (novello Carlo Magno) la notte di Natale sia stato incoronato da Moratti (“pontefice massimo” della fede nerazzurra) erede (dell’impero) dello Special-One. Un cambiamento repentino, ingiustificato, forse esagerato per un uomo troppo intelligente per pensare di poter essere la controfigura di quel Mourinho di cui ha rappresentato a lungo l’antitesi. Perché di Special-One, lo dice la parola stessa, ce n’è può essere uno solo, ed essere uno “Special-Two” non è quello che si definirebbe un’ambizione da “imperatore”.
La domanda è lecita, perché è difficile riconoscere nell’attuale coach nerazzuro quel giocatore, quel dirigente, quell’allenatore che i tifosi del diavolo hanno imparato ad amare, ad apprezzare, a stimare, ad osannare in alcuni momenti, al di là del suo apporto alla causa rossonera, ma anche solo per quelle doti umane che ne hanno fatto per lungo, lunghissimo tempo, un simbolo dello “Stile Milan”. Leo sembra cambiato: più aggressivo, meno accomodante, a volte indisponente, sempre pronto ad alzare i toni. Una metamorfosi inaspettata, si infuria con i giornalisti in conferenza, si “scorna” con i commentatori nel dopopartita, si scaglia contro le critiche, sbatte la porta e se ne va.
Un uomo mille miglia distante da quella persona pacata, sempre sorridente, capace di accettare le critiche, di farne tesoro e di replicare con garbo e stile sempre impeccabile. La conferenza stampa che ha anticipato la sfida alla Fiorentina ci ha regalato un Leonardo con un accento “portoghese” molto più accentuato, con un sorriso strano, con delle affermazioni che non sembrano far parte del suo bagaglio personale.
Saranno state le telefonate fitte con il suo predecessore quando è arrivato alla corte di Moratti (non quel Benitez che ha rappresentato una parentesi tanto breve quanto tribolata nella storia nerazzurra), sarà la squadra che ha bisogno di un uomo con un carattere del genere per rendere al meglio, sarà un dictat societario, o forse sarà semplicemente l’aria di Appiano Gentile, ma questo Leonardo è sempre più simile a Josè Mourinho.
Leo che si alza e se ne va sbattendo la porta dopo un conferenza stampa in cui il tono di voce ha toccato frequenze mai sentite prima, che cerca il “litigio” con Mario Sconcerti nel post Juve-Inter, che non si presenta di fronte ai microfoni nel post Fiorentina mandandoci Giuseppe Baresi, che prende delle scelte che non sembrano portare la sua firma. Quante volte lo scorso anno lo abbiamo ascoltato, afono, accettare di buon grado critiche, anche pesanti, al suo gioco, alle sue scelte, ad una squadra che non riusciva ad essere incisiva come avrebbe voluto, quante volte, da dirigente, si presentava di fronte ai microfoni senza essere obbligato, per raccogliere le critiche e difendere la squadra.
Sembra quasi che il tecnico brasiliano (novello Carlo Magno) la notte di Natale sia stato incoronato da Moratti (“pontefice massimo” della fede nerazzurra) erede (dell’impero) dello Special-One. Un cambiamento repentino, ingiustificato, forse esagerato per un uomo troppo intelligente per pensare di poter essere la controfigura di quel Mourinho di cui ha rappresentato a lungo l’antitesi. Perché di Special-One, lo dice la parola stessa, ce n’è può essere uno solo, ed essere uno “Special-Two” non è quello che si definirebbe un’ambizione da “imperatore”.