Negare i crimini del nazismo, nel codice penale ceco è un crimine, sancito ai tempi in cui Praga faceva parte del blocco sovietico. Ora diventa reato negare che in quei quarantuno anni di «regime rosso» e sotto il tallone di Mosca, abbattuto in Piazza Venceslao nell’inverno ’89-90, si sia compiuto un «genocidio comunista». Pena prevista, da sei mesi a tre anni di carcere. La Repubblica Ceca ripete la scelta che la Germania e l’Austria fecero uscite dalla guerra: troppo colpevole, orrendo, troppo pericoloso, allora, quel passato nazista perché ci si potesse permettere di metterne in dubbio i crimini. E allora, ecco un codicillo - a margine di un’imponente riforma del codice penale, prima ispirato dai giuristi sovietici nel ’68, e ora più conforme alle direttive di Bruxelles - che mette al bando dal suolo ceco tutti i David Irving, di dittature rosse o nere che siano. Non sia permesso loro di riscrivere la storia nazionale, tanto più che non è ancora sedimentata in un’interpretazione univoca. Da ieri c’è il sì della Camera, paiono probabili quelli del Senato e del presidente Václav Klaus. Il Partito comunista non ci sta, e annuncia che farà ricorso.
«Troppo tardi, comunque, perché i "rossi" che obbedivano a Mosca, con le bugie e proprio negando quei crimini si sono già riciclati», gridano senatori di destra come Martin Mejstrik. Inopportuno, dicono altri, a che scopo creare nuove divisioni? Pochi (se non della file della sinistra non riformata e marxista KSCM) e tra loro qualche nome eccellente come l’ex dissidente Petr Uhl, contestano quella parola «genocidio» come impropria, usurpata al vocabolario dell’Olocausto.
Però, pare innegabile che la Repubblica Ceca si sia ritrovata, tutt’a un tratto, a fare i conti con il proprio passato. Il ministro dell’Interno ha mandato un avviso di bando ai Giovani comunisti: la vostra pretesa di «fare la rivoluzione» per «rovesciare il capitalismo» è illegale, quindi sarete banditi se non cambiate statuto. Ci si è ricordati che già Havel aveva firmato una legge che vietava i movimenti che aspiravano a rivoluzioni naziste o comuniste (una legge passata nel 2000, e mai applicata da nessun giudice, che però già conteneva in nuce anche il divieto negazionista assorbito nel nuovo codice). E in Senato è arrivata una petizione con 75mila firme, che propone di bandire il nome «Partito comunista», così come di vietare l’uso della falce e del martello ai partiti.
«E’ una banale lotta per il potere, mascherata dietro alla pretese di difesa di idee. Sono tutti tentativi di farci fuori. Temono che possiamo far bene e andare al governo alle prossime elezioni: e qui si vota a giugno», dice Jiri Dolejs, comunista. E, in effetti, nei sondaggi, un’alleanza di governo tra socialdemocratici e i comunisti è numericamente possibile.
Altri dicono, tuttavia, che è la memoria che difetta ai cechi. Una relazione del ministero degli Esteri ha stabilito che nelle scuole il periodo ’48-89 viene a malapena menzionato. Da qui l’ordine: «Rifate i manuali». I ragazzi sanno poco o niente di quel periodo che ora la legge definisce «genocidio comunista»: degli 8mila morti durante i lavori forzati, dei 251 prigionieri politici giustiziati, dei 250mila finiti in carcere, dei 400mila fuggiti all’estero, di Kundera costretto a imparare il francese, di Milos Forman emigrato a Hollywood, di un’intellighenzia dispersa. Un’organizzazione, «People in Need», sta adesso facendo vedere nelle scuole dei documentari su quel periodo, finanziata dal governo. «A me sembra - dice il suo presidente Vojtech Filip - che abbiamo un enorme problema con il nostro passato. Negato? No, sconosciuto».