Cinque infermiere bulgare e un medico palestinese - detenuti da sette anni in Libia con l’accusa di aver deliberatamente inoculato il virus dell’Aids a 400 bambini - sono stati condannati a morte oggi da un tribunale libico, con un verdetto che ha suscitato indignazione in Europa e negli Stati uniit. L’Unione europea e la comunità scientifica hanno creduto, sin dai primordi del caso, nell’innocenza degli imputati e che le condizioni igieniche dell’ospedale di Bengasi - città sulla costa orientale del paese - siano all’origine dell’infezione.
I difensori dei condannati hanno immediatamente annunciato l’appello alla Corte suprema, una procedura in ogni caso automatica, a quanto ha rilevato il ministro degli esteri libico, Abdelrarahman Shalgam.Il ministro della giustizia libico, Ali al-Hasnaui, ha spiegato che la giustizia del suo paese «offre ai condannati a morte la possibilità di una revisione completa del processo».La Corte suprema può infatti «modificare, ridurre o annullare il verdetto», ha aggiunto. L’Unione europea ha immediatamente condannato, con un comunicato, tale sentenza, sottolineando «le sue preoccupazioni per ciò che riguarda le base sulle quali sono stati giudicati gli accusati, oltre alle condizioni della loro detenzione ed alla estrema lunghezza del processo». A Sofia, il governo di è detto «profondamente indignato». «Siamo delusi da tale verdetto», ha affermato da parte sua la Casa Bianca, mentre il cancelliere tedesco Anhela Merkel ha esortato Tripoli a dare «una possibilità» alle infermiere ed ha detto che la loro condanna a morte è «una pena terribile».
Le cinque infermiere, Kristiana Valtcheva, di 48 anni, Nassia Nenova, di 40, Valia Cerveniashka, di 55, Valentina Siropoulo, di 48, e Snejana Dimitrova, di 54 anni, oltre al medico palestinese, Ashraf Ahmed Juma, erano già state condannate a morte nel maggio 2004, in un processo annullato dalla corte suprema. I condannati hanno accolto tra i singhiozzi, che non precisa il modo in cui dovrà essere applicata la pena. In Libia, le condanne a morte sono eseguite mediante fucilazione o impiccagione. All’esterno del tribunale in cui veniva emessa la sentenza, alcuni dei famigliari dei 426 bambini colpiti da Aids - 53 dei quali sono deceduti - hanno accolto il verdetto con canti e danze.Secondo i suoi famigliari, una delle 53 vittime, un ragazzo di otto anni, sarebbe morto oggi stesso.
«Il processo non è stato equo perchè non ha preso in considerazione i rapporti internazionali ed i consigli degli esperti» per ciò che riguarda l’individuazione e la propagazione del virus nell’ospedale in cui erano ricoverati i bambini poi contagiati«, ha detto alla France Presse Ivan Paneff, dell’organizzazione Avvocati senza frontiere. Nel corso dell’ultima udienza, il 4 novembre scorso, gli accusati, in carcere dal febbraio 1999, avevano ribadito la loro innocenza. La difesa aveva chiesto di mettere agli atti del processo che gli imputati erano stati torturati, oltre ad una relazione compilata da esperti, secondo la quale cause dell’epidemia di Aids sarebbero state sarebbero state la cattive condizioni igieniche dell’ospedale di Belgasi.
Il 31 ottobre, l’avvocato del medico palestinese aveva rivelato che numerosi libici si facevano curare all’estero per le pessime condizioni degli ospedali del loro paese. Si è mobilitata pure la comunità scientifica, secondo la quale l’apparizione del virus - da addebitarsi alle cattive condizioni igieniche - rimontava al 1997, ben prima dell’arrivo in Libia delle infermiere e del medico.
Diversi paesi - tra cui la Francia e gli Stati uniti - hanno tentato di ottenere la liberazione dei sei accusati. Nel dicembre 2005, la Bulgaria aveva costituito, insieme con gli Stati uniti e la Gran Bretagna, un fondo internazionale per aiutare la Libia a combattere l’Aids, assicurare la messa a norma dell’ospedale di Bengasi e risarcire le vittime e le loro famiglie. Oggi, il tribunale ha anche condannato lo stato libico a versare alle famiglie un’indennità da 250.000 a 800.000 dollari per ogni vittima. Gli Stati uniti hanno promesso di proseguire gli sforzi per ottenere la liberazione delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese, dichiarandosi »delusi« da tale sentenza.
Il presidente francese, Jacques Chirac, di è dichiarato »personalmente sbigottito da tale verdetto« ed ha sottolineato che la Francia »continuerà gli sforzi« per ottenere la liberazione dei condannati. Il vice presidente del consiglio e ministro degli esteri italiano, Massimo D’Alema, ha espresso il proprio turbamento pe rla sentenza di condanna a morte decretata dal tribunale libico e, pur esprimendo rispetto per l’autonomia della giustizia libica, ha ribadito la più ferma e determinata opposizione dell’Italia alla pena di morte.