ROMA — Fine dell’esilio. Francesco Caruso, il leader dei centri sociali portato alla Camera da Fausto Bertinotti per costruire un ponte con il mondo no global, fa di nuovo parte del gruppo di Rifondazione comunista. Nessuna sanzione per quelle frasi su «Tiziano Treu e Marco Biagi assassini» perché «aumentando la precarietà hanno diminuito la sicurezza sul lavoro». Frasi pronunciate all’inizio di agosto, che gli erano costate le critiche di tutti, dal Capo dello Stato in giù. E dalle quali anche Rifondazione aveva preso le distanze, giudicandole «non compatibili con la nostra cultura politica ». Espulsione, richiamo, ammonimento? Poi la scelta di rimandare il caso a settembre, alla prima riunione del gruppo di Montecitorio dopo la pausa estiva. Quella discussione c’è stata, senza troppa pubblicità perché Rifondazione non ha interesse a riaprire la ferita. E ha deciso di chiudere il caso condannando di nuovo quelle parole ma senza il bollo della sanzione disciplinare. Caruso ha di fatto ritirato la propria autosospensione. Tutto come prima. La riunione è di martedì della settimana scorsa, sala Angelo Frammartino a Montecitorio. Porte chiuse, ingresso consentito solo ai deputati e, per favore, niente dichiarazioni all’uscita. Si comincia alle 17 ma si parla di Finanziaria. Solo alle sette e mezzo di sera si apre la pratica Caruso. Lui si è presentato con il solito look: va bene la giacca (lo prevede il regolamento) ma pur sempre un po’ scaciato. Distribuisce i messaggi di solidarietà che gli sono arrivati dai centri sociali, dai circoli di Rifondazione della Calabria. Non c’è il segretario Franco Giordano, manca Fausto Bertinotti che da presidente della Camera non si occupa più direttamente del partito. Una trentina i deputati in sala, il primo a parlare dal tavolo della presidenza è il capogruppo Gennaro Migliore.
L’inizio è severo: «Il compagno Caruso ha creato un grave danno al partito e ha usato un linguaggio che non ci appartiene ». Ma poi spiega che «allo stato attuale non c’è l’intenzione di prendere provvedimenti nei suoi confronti. Anche se mi auguro che non ci causi nuovi problemi». La parola passa alla difesa: Caruso rivendica il significato politico del suo intervento. «Assassini non sono Biagi e Treu ma le leggi che portano il loro nome». E difende il suo stile, quella guerriglia comunicativa che (dall’autoreclusione nei cpt ai semi di marijuana nei vasi di Montecitorio) si è portato dietro dal mondo no global: «Se pensiamo solo al bon ton perdiamo la capacità di comunicare con la gente. E pure noi finiremo per essere considerati lontani, tutti auto blu e portaborse». Segue dibattito. Un’ora e mezzo, una decina di interventi in tutto. I più concordano con la linea di Migliore: parole sbagliate ma nessuna sanzione, spiegano Graziella Mascia, Andrea Ricci, Daniele Farina. Ma non tutti sono d’accordo. Luigi Cogodi — una vita nel Pci, sardo come Berlinguer — è tra i più severi con Caruso, che nell’Aula della Camera siede proprio accanto a lui: «Il suo è stato un grave errore, per alcuni versi mi ricorda quelli che un tempo chiamavamo provocatori». La parola espulsione non la pronuncia, non lo farà nessuno. Anche perché dopo l’intervento di Migliore si è capito che non si vogliono strappi. Caruso ascolta in silenzio, seduto in terza fila fra il muro e Paolo Cacciari. Gli arriva un sms del deputato e amico Maurizio Acerbo: «Sei il nostro Grillo!». Poi interviene Vladimir Luxuria: «Capisco Francesco, anche io vengo da un mondo che usa altri linguaggi. Ma capisco che, una volta deputato, non posso utilizzare gli stessi toni di una volta». Comprensione ma non troppo. Tocca a Ramon Mantovani. Duro anche lui. Ma con il gruppo dirigente del partito: «È stata vergognosa la vostra scelta—dice rivolto a Migliore — di accodarsi al linciaggio squallido e vergognoso della Casa delle libertà e del resto dell’Unione. Vi siete uniti all’isteria collettiva». Discussione chiusa, nessun voto, nessuna alzata di mano. Caruso se ne va con Paolo Cacciari. Una birra al 32, centro sociale del quartiere San Lorenzo. Luogo di ritrovo di quel mondo no global che Rifondazione ha cercato di avvicinare con la sua candidatura. E che forse, specie in tempi di Grillo e antipolitica, una sanzione severa avrebbe rischiato di allontanare.
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