Il 25enne difensore brasiliano dell'AlbinoLeffe è un "Atleta di Cristo" come Kakà. "Non è vero che i calciatori pensano solo alle belle donne e alle macchine. Le bestemmie in campo? I miei compagni si scusano"
MILANO, 1 giugno 2007 – C'è chi ha nel pallone l'unico Dio e c'è chi Dio lo tiene nel cuore. C'è chi con il primo vero stipendio s'è fatto una Ferrari, una velina, una bevuta e c'è chi ha sfamato la famiglia, le ha dato un tetto e un futuro diverso dal passato. Siamo al confine tra il calcio degli affari (propri) e il calcio dei sentimenti, tra valori (soldi da spendere) e valori (ideali in cui credere). Il brasiliano Gleison Santos non ha la fama di Ronaldinho, il conto in banca di Recoba, i vizi di Vieri, ma con l'amico Kakà condivide l'amore per Dio. Il milanista l'ha "urlato" in mondovisione ad Atene, dopo aver vinto la Champions, attraverso una maglietta con la scritta: "I belong to Jesus", appartengo a Gesù. Santos, che più modestamente gioca come difensore centrale nell'AlbinoLeffe, si accontenta di essere atleta di Cristo tra le quattro mura di un palazzone d’uffici alla periferia di Bergamo, dove da un paio d'anni, per tre giorni la settimana, va a pregare, cascasse il mondo: "Canto e suono la chitarra. Ora ho iniziato a studiare teologia, tempo due anni e diventerò pastore evangelico. Nel frattempo, proverò a salire in serie A e a conquistare un posto nella Seleçao. E, a carriera finita, andrò in giro per il mondo a predicare la parola di Dio".
MAESTRO - Ha le idee chiare, Gleison, e una voglia matta di dedicarsi agli altri. Spiega: "Sono stanco di sentir dire che tutti i calciatori hanno la testa solo per le belle donne, le macchine di lusso, le discoteche. Non è così. Ci sono anche giocatori che grazie al pallone possono trasmettere messaggi positivi. Soprattutto ai tanti giovani della mia età che si buttano via, schiavi della droga, dei vizi, della carenza di valori. Proprio a loro è dedicato il "Libro della vita", volumetto realizzato con l’unione delle chiese evangeliche che speriamo di distribuire presto nelle scuole. Io stesso conto di poter parlare ai ragazzi. Non voglio convertire nessuno, vorrei che Dio potesse fare ad altri quello che ha fatto per me".
Santos è nato 25 anni fa a Vitoria Espirito Santo, località tra Bahia e Rio de Janeiro. Il papà Gemiuson è stato un discreto centrocampista di serie B fino a quando non si frantumò un femore. A forza di accompagnare agli allenamenti il padre, il piccolo Gleison si prese una cotta per il pallone. "Avevo una maglia del Milan e una dell'Inter. Il mio idolo era Franco Baresi, poi il suo posto lo ha preso Paolo Maldini, il difensore più bravo del mondo. Guardo sempre il suo dvd, per imparare e migliorare". A 19 anni, dopo i primi passi a Londrina e Ribeiro Preto, Santos passò al Vasco Da Gama, a scuola dai maestri Romario, Bebeto e Juninho. Poi Sergio Clerici, attaccante brasiliano del passato, lo raccomandò a Vavassori e all'Atalanta. E in Italia cominciò la scalata verso il successo dopo un'infanzia di stenti.
RISCATTO - "Con i soldi guadagnati — spiega il sudamericano — ho regalato una casa ai miei genitori e ho smesso di farli lavorare. E' Dio che ha voluto questo. Non dimentico i tempi in cui non avevamo da mangiare o ci tagliavano l'elettricità perché non potevamo pagare le bollette. E' stata mamma a farmi avvicinare a Gesù e lui mi ha sempre aiutato in tutte le scelte. Senza le preghiere di mamma, non sarei qui in Italia, non sarei un calciatore. Quando qualcosa non va, nel calcio, non me la prendo con la sfortuna. So che fa tutto parte di un progetto più grande che Dio ha per me. In 5 anni in Italia, ho giocato in tutte le categorie, tranne la serie A, ma sono convinto che arriverà il mio momento, con gradualità, senza fretta". Dopo un anno coi fiocchi con l'AlbinoLeffe e un infortunio che gli ha fatto chiudere la stagione con un po' di anticipo, Santos potrebbe ripartire da Piacenza, anche se gli fanno la corte Lazio, Palermo, Chievo e Genoa. "Il traguardo più bello, però, è il figlio che io e mia moglie Patricia avremo a settembre. Lo chiameremo Gabriel", e non è un nome scelto a caso. L'ispirazione arriva sempre dalla Bibbia, che Gleison porta anche in ritiro. E, in senso metaforico, pure in campo: "Quando qualche avversario insulta mia mamma, conto fino a dieci, poi gli rido in faccia. Porgi l'altra guancia… Non posso essere proprio io a dare il cattivo esempio. I miei compagni sanno che sono molto credente e mi rispettano. Anzi, qualcuno di loro si interessa ai miei studi o partecipa al culto. E se in partita scappa una bestemmia, poi arrivano le scuse". E’ meglio non rischiare con gli atleti di Dio…