Prima di Atene sembrava che il Milan non potesse più fare a meno del ritorno di Shevchenko. E viceversa. Per l'Ucraino probabilmente è ancora così. Per il Milan pare di no. Qualcosa è cambiato. E' stata probabilmente la vittoria della coppa tra mille difficoltà nell'anno delle penalizzazioni di Calciopoli a cementare lo spogliatoio. E a chiudere le porte a chi, nel pieno di quelle difficoltà e di quella bufera, è scappato.
Shevchenko era probabilmente il calciatore più rappresentativo del Milan. Quello dello scudetto, dei titoli di capocannoniere, del Pallone d'oro conquistato con la maglia rossonera dopo Weah. Della storica finale con la Juventus. Quello che tirò il rigore decisivo battendo Buffon.
Anche quello che sbagliò il rigore decisivo facendosi beffare da Dudek nella finale persa con il Liverpool, però. Gli altri sono tutti rimasti a soffrire, ad aspettare. Il capitano Maldini, il gladiatore Gattuso, il regista Pirlo, l'introverso Dida, altro eroe di Manchester contro Del Piero e compagni.
Lui non ha avuto pazienza, ed è andato a Londra. Non ha avuto la pazienza di aspettare che il destino desse la possibilità a chi quella sera di Istanbul aveva pianto per una coppa gettata al vento di pareggiare i conti. Il destino ha veduto e provveduto. Lui però era a Londra.
E ora lo spogliatoio storce un po' la bocca all'idea del suo ritorno. Il Milan è anche questo, nel bene e nel male. E ora guarda altrove: Ronaldinho, Trezeguet, Henry, Eto'o. Pensa anche a Sheva, ma non come prima. Qualcosa è cambiato. Come nelle storie d'amore, spesso vince chi fugge. Sheva è fuggito e il Milan ha pianto per lui. Ora è il Milan a essere fuggito sul tetto d'Europa, lontano lontano, così in alto che in pochi riescono a vederlo. Ed è lui a piangere.
Il Milan ha vinto con tutti i suoi compagni di quella maledetta sera di Istanbul. E con qualche faccia nuova in campo, in panchina e in tribuna. Tutti quelli che nel Milan hanno continuato a credere. Come Kakà, che ha detto no alla corte del Real Madrid e ai suoi milioni. Come Oddo, che alla Lazio era un eroe e in quattro e quattr'otto ha fatto le valigie per alzare la Coppa più bella. L'ha detto e l'ha fatto.
Shevchenko no. Il figlioletto aveva bisogno di imparare l'inglese aveva detto. E il Milan ha accettato la scelta. Ora Sheva dovrà accettare la scelta del Milan. Qualunque essa sia. Perchè i suoi compagni ora quando pensano a Istanbul subito dopo pensano ad Atene. E sorridono. Shevchenko pensa ad Istanbul e ad Atene, e si ricorda che tra quelle maglie rossonere che alzavano la coppa dalle grandi orecchie lui non c'era. E che forse non ci sarà più.